Intesa. E basta!
Dopo l’ok della Camera della scorsa settimana, la commissione Finanze del Senato ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità del decreto per il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca, che dal 26 giugno scorso sono diventate una costola di Intesa Sanpaolo guidata dal Ceo Carlo Messina (nella foto sopra). Nonostante sia passato quasi un mese molti si interrogano sull’opportunità dell’intervento pubblico. A questo proposito martedì scorso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha ribadito quale sarebbe stato l’effetto della liquidazione atomistica delle banche venete: «una stretta creditizia da 22 miliardi con impatto su 55mila imprese e conseguenti ricadute occupazionali», inoltre «entro 7 giorni il sistema bancario avrebbe dovuto mettere a disposizione 13 miliardi per i depositi da rimborsare».
Ne è convinto anche l’esperto di diritto dei mercati finanziari, Fabio Accinelli. «Intesa Sanpaolo – spiega – è stata la migliore soluzione possibile soprattutto perché mette in sicurezza posti di lavoro salvaguardando, altresì, i risparmi di famiglie ed imprese». A livello sia giuridico che economico, sottolinea, «è un tipo di operazione completamente nuova per il nostro Paese, tanto che una volta posto in essere un iter giuridico definitivo, potrà fare da linea guida operativa anche per gruppi bancari in altri contesti europei poiché non siamo di fronte né ad una cessione di ramo di azienda né ad una fusione né ad una acquisizione strettamente tecnica, bensì il decreto legge ha consentito a due banche in default di poter essere rilevate da un grande gruppo industriale».
La relazione tecnica del decreto ha stimato in 11,6 miliardi di euro gli incassi attivi posti dalla gestione dei crediti in sofferenza. Tale evidenza economica permetterebbe, di fatto, di chiudere la liquidazione con un saldo positivo di un miliardo, rimborsando così sia il prestito da 5,3 miliardi di Intesa alla bad bank sia i 5,2 miliardi assegnati dallo Stato ad Intesa per la good bank. In buona sostanza, questo significa che lo Stato diventa – tramite decreto – creditore privilegiato della procedura di liquidazione coatta amministrativa. Occorre inoltre ricordare che le due banche venete sono state sottoposte a burden sharing con l’azzeramento di azionisti (Fondo Atlante, ma anche i vecchi soci delle Popolari per i quali era stata avviata una procedura di conciliazione per consentire loro di recuperare parte del valore delle vecchie azioni di fatto azzerate) e obbligazionisti subordinati. Questi ultimi saranno rimborsati secondo le stesse modalità che si seguirono per le quattro banche risolte a fine 2015 (scadenza per le domande 30 settembre), mentre agli azionisti non resterà che insinuarsi al passivo inviando apposita istanza ai commissari liquidatori a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno entro il 24 agosto.
Come sottolineato dalla Banca d’Italia, «le liquidazioni non disporranno con tutta probabilità di risorse sufficienti a soddisfare le pretese di azionisti e creditori subordinati». Ecco perché l’avvocato padovano Paolo Emilio Quaggetto ha invitato «gli azionisti anche a guardare altrove dato che la strategia difensiva non può prescindere dalla garanzia patrimoniale dei soggetti responsabili, che ci sono e vanno individuati: tutto ciò a prescindere da eventuali future soluzioni concordatarie la cui opzione riguarda però la politica dato l’ineluttabile, anche in tale ipotesi, ulteriore intervento statale». Insomma, a prescindere dal fatto che il governo possa decidere di soddisfare in qualche misura anche i vecchi soci, la speranza è che i commissari liquidatori si rivalgano sulle disastrose gestioni di Gianni Zonin (nella foto sopra) e Vincenzo Consoli. Chi invece non rivedrà un euro è il Fondo Atlante che ha bruciato i 3,5 miliardi investiti nella ricapitalizzazione delle due banche e si avvia alla liquidazione da parte del gestore Quaestio, confermando i dubbi che avevamo espresso sin dalla sua nascita.
Ricordiamo, infine, quali sono gli asset rilevati da Intesa:
- Crediti in bonis per circa 26,1 miliardi di euro
- Attività finanziarie per circa 8,9 miliardi di euro
- Attività fiscali per circa 1,9 miliardi di euro
- Debiti verso clientela per circa 25,8 miliardi euro
- Obbligazioni senior per circa 11,8 miliardi di euro,
- Raccolta indiretta per circa 23 miliardi di euro
- Circa 9.960 dipendenti in Italia e circa 880 all’estero.
Contestualmente al passaggio a Ca’ de Sass è partita anche la trattativa tra il Chief Operation Officer di Intesa, Eliano Omar Lodesani (nella foto a sinistra), e i sindacati (dove è sempre in posizione preminente la Fabi guidata da Lando Maria Sileoni). L’accordo è stato raggiunto alla fine della scorsa settimana e prevede «la riduzione degli organici di circa 4mila unità su base volontaria» tramite il ricorso alle prestazioni straordinarie del Fondo esuberi. Le prime mille uscite inizieranno a ottobre e si concluderanno a dicembre. Dopo la verifica sulle adesioni prevista a fine settembre e la definizione delle modalità per le uscite delle ulteriori 3mila persone, ha reso noto Intesa Sanpaolo, «il percorso proseguirà per individuare le altre misure quali il ricorso alla mobilità territoriale e iniziative di formazione per la riconversione/riqualificazione delle professionalità». Saranno ridotte a 300 le circa 900 filiali facenti parti del perimetro delle due banche e saranno integrati i sistemi informativi e di gestione dei rischi. Secondo Accinelli, per raggiungere le economie di scala previste è possibile considerare nel processo anche i dipendenti di Intesa «ove la platea di lavoratori prepensionabili è molto più ampia e coloro che hanno i requisiti giuridici, attraverso il fondo di solidarietà a 7 anni, sono oltre 8mila stante un percorso condiviso che permetterà di gestire anche il riposizionamento strutturale e competitivo dell’intera rete commerciale».
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