L’intelligenza artificiale cambierà i processi
Forse pochi di voi ricorderanno Person of Interest, la serie prodotta da J. J. Abrahams (creatore di Lost) che aveva come protagonista un agente di un’organizzazione segreta e un supercomputer dotato di intelligenza artificiale che osserva illegalmente la mole enorme di dati raccolti in tutto il globo dagli impianti di sorveglianza e la analizza per prevenire eventi criminali definiti “rilevanti”, consentendo quindi alle autorità di Washington di poterli sventare. Ebbene, questa serie distopica potrebbe solo aver anticipato la realtà di circa un decennio e anche la magistratura italiana comincia a porsi l’interrogativo circa la possibilità di integrare la consueta attività investigativa con strumentazioni di ultima generazione in grado di coadiuvarla nella lotta al crimine, tanto più che le autorità di polizia sono già dotate di competenze in ambito cibernetico. Ma la tecnologia pone problemi di non irrilevante entità perché la tutela degli indagati – che possono eventualmente diventare imputati – mal si concilia con l’uso di tecnologie invasive. Gli elementi indiziari raccolti in questo modo potrebbero essere facilmente esclusi (e a buon diritto) dalle difese in quanto lesivi dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Allo stesso, tempo, però si pone il problema di combattere (e anche prevenire) fattispecie penali che proprio la tecnologia agevola. A partire dai reati di natura finanziaria.
Questi temi sono stati dibattuti a Roma nel primo Workshop della Fondazione Vittorio Occorsio dedicato all’Intelligenza Artificiale, alla struttura dei reati e al metodo investigativo.
L’obiettivo della giornata è stato condividere la riflessione avviata dalla Fondazione sul tema del rapporto tra intelligenza artificiale e tutela penale nella prospettiva della ricerca che la Fondazione svolge anche a valle di un Memorandum of Understanding sottoscritto con l’Agenzia ONU «United Nations Office on Drugs and Crime» (UNODC), sulle nuove modalità di commissione dei reati mediante l’uso dell’Intelligenza Artificiale. I primi risultati della riflessione avviata dai 4 gruppi di lavoro organizzati dalla Fondazione rendono evidente la centralità della questione della giurisdizione penale, con riferimento alla disciplina di regolazione del CyberSpace. La giornata è stata organizzata in collaborazione con l’Università Mercatorum. L’incontro si è svolto a porte chiuse ma con una nutrita e autorevole platea di partecipanti ed è stato moderato da Melina Decaro, segretario generale della Fondazione Vittorio Occorsio. Ha aperto i lavori la relazione introduttiva di Giovanni Salvi, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Occorsio.
Si è tenuto successivamente un panel con i manager delle principali imprese italiane che investono nell’Intelligenza Artificiale. Hanno partecipato: Luciano Carta, presidente di Leonardo, Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo e Alessandro Pansa, presidente di Sparkle (Gruppo Tim).
Il dibattito ha messo in evidenza come la polizia giudiziaria sia «più avanti» della magistratura perché già dotata di reparti specializzati che utilizzano metodologie avanzate. La Procura Generale della Cassazione, a questo proposito, ha avviato una riflessione sul mutamento del concetto stesso di giurisdizione rispetto a condotte che si svolgono in un «non luogo» che è radicato in diversi Stati come il cyberspazio. Il protocollo addizionale della Convenzione di Budapest (il Trattato internazionale europeo che definisce i limiti dei reati informatici e la loro procedibilità; ndr) rende la giurisdizione recessiva e questi vuoti possono essere occupati da altre realtà. Ma ciò che non è coperto dalla giurisdizione non è escluso da quelle che sono le relazioni fra gli Stati. Tra gli ambiti di approfondimento giurisprudenziale studiati dalla Fondazione Occorsio quattro sono di particolare attualità:
- Manipolazione del mercato tramite l’Intelligenza Artificiale
- Manipolazione del mercato politico (terrorismo)
- Ricerca delle prove
- Reati comuni, riciclaggio e monete virtuali
Ma un’altra questione si pone ai giuristi e agli esperti di cibernetica. Lo sviluppo della tecnologia digitale ha operato una disintermediazione del rapporto fra i cittadini e lo Stato. Lo stesso è accaduto anche nel settore della giustizia dove viene per certi versi disintermediato il rapporto fra i cittadini e i professionisti del diritto. Si pone il problema di un mondo in cui i rapporti sociali siano tutelabili dall’innovazione tecnologica e quindi sottratti a un certo soggettivismo, all’arbitrio del magistrato. La Fondazione non ha indagato l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel processo penale bensì il meno esplorato rapporto tra struttura del reato e la possibilità di effettiva posizione di condotte illecite. Una cosa affermare la giurisdizione un’altra cosa è darle concreta applicazione questo vale sia nel campo economico e finanziario per reati come il riciclaggio o il traffico di stupefacenti.
Ed è proprio questa analisi che fa diventare «reale» il fenomeno immaginato da Person of Interest. L’Intelligenza Artificiale ha aperto la strada al tema della prevedibilità delle azioni e alla loro procedibilità penale. Una macchina intelligente è in grado di apprendere e di agire autonomamente e, in astratto, violare i principi fondamentali della legge. È il caso dell’inserimento dei fascicoli del casellario giudiziale in uno di questi sistemi: in caso di commissione di un reato, il computer è in grado di stilare una lista di potenziali indiziati in stato di libertà. Occorre, pertanto, tenere in debito conto i rischi per la sicurezza e per la tutela dei diritti fondamentali che il Parlamento e la Commissione europea ha recentemente indicato come ineludibile. Ora questo sistema può funzionare negli Usa che sono un Paese di common law dove l’obiettivo fondamentale della giurisdizione è la repressione dei reati (funzione preventiva).
La civil law, che contraddistingue la cultura giuridica dell’Europa Occidentale, presuppone la tutela estrema della presunzione di innocenza oltre alla tutela della riservatezza. In base al Codice di Procedura Penale, «l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti». Ma un algoritmo si basa su dati quantitativi e non su aggettivi qualificativi. Dunque, queste condizioni iniziali pongono di per sé una forte limitazione all’uso di queste tecnologie nell’ambito del processo penale perché la sussistenza dei fatti stessi diventa di per sé opinabile, cioè quello che per la macchina è un fatto, giustamente può non essere un fatto per la difesa. Basti pensare che gli algoritmi di riconoscimento applicati alle videocamere sono utilizzati solo negli aeroporti (o per uso privato come sistema di sicurezza), ma portare nel dibattimento il video del riconoscimento facciale è materia assai più complessa. Senza contare che gli algoritmi tendono a perpetuare i trend, dunque sono maggiormente funzionali agli ambiti della common law dove vige il principio del precedente. In Italia, ad esempio, l’impostazione è profondamente differente: la stessa funzione rieducativa della pena ha come scopo principale il recupero del reo.
Altra problematica non trascurabile è la possibilità di disporre di tecnologie proprietarie che consentano alla giurisdizione penale di progredire. L’Italia non produce microchip, hardware sofisticati e dipende dall’estero per questo tipo di forniture. Questo implica che se un OTT dovesse commettere un reato, vi sono scarse possibilità di aprirne gli algoritmi e scandagliarne i database. Qualche esempio positivo , tuttavia, c’è: gli operatori tlc collaborano con Bankitalia per rilevare operazioni sospette. Tim e Google hanno raggiunto, assieme anche a Intesa Sanpaolo, un accordo per la creazione di due Google Cloud Region a Torino e Milano, costruite all’interno dei data center di Tim e su cui Intesa Sanpaolo costruirà i propri servizi digitali.
Gian Maria De Francesco