Il governo Meloni intende cambiare a partire da settembre la formula del reddito di cittadinanza, lasciandolo inalterato per coloro che sono in condizione di non poter lavorare a causa degli obblighi di cura di un familiare o per patologie particolari come le dipendenze. Le persone impiegabili, invece, oltre a subire una riduzione del sussidio (che verrà ribattezzato Mia, misura di inclusione attiva), verranno inseriti in un percorso di formazione per far sì che rientrino quanto prima nel mercato del lavoro.  Secondo Franco Amicucci, fondatore e Ceo di Skilla, «il reddito di cittadinanza rientra nel mismatch del mercato del lavoro e delle diverse dinamiche territoriali».

Si tratta di gestire una serie di rilevanti complessità, Ad esempio, vi sono interi quartieri di Napoli ove risiedono più di 70mila titolari del reddito di cittadinanza. Un altro elemento di diversificazione è l’età. «Un conto è avere 28 anni ed essere disoccupato, un altro è esserlo a 56 anni», spiega Amicucci. Dunque, «serve una rete territoriale che sappia adattare le risposte alle specificità del territorio», aggiunge sottolineando che «questo si è rivelato il grande difetto dei Centri per l’impiego che non sono risultati adeguati e attrezzati per i piani di reinserimento e i piani formativi che richiedono interventi specifici per territorio e per fasce professionali». È fondamentale l’apertura ai privati come le agenzie per il lavoro «che hanno una maggiore sensibilità sia in termini di tempi di risposta sia relativamente alle esigenze delle aziende insediate in un territorio».

La fragilità del nostro tessuto economico, spiega il Ceo di Skilla,  non riguarda solamente il tema della formazione finalizzata alle occupazioni possibili nel territorio. «C’è un fenomeno sociale nuovo che è la maggiore resistenza rispetto al passato alla mobilità territoriale: i giovani qualificati tendono a spostarsi verso l’estero, ma c’è più difficoltà a spostarsi all’interno del Paese».  Questo atteggiamento culturale diverso fa emergere l’importanza del lavoro sul territorio. «Le figure professionali vanno integrate con le richieste delle imprese. Le aziende medio-grandi aziende si stanno attrezzando con scuole professionali interne qualche regione comincia a fare leggi per equiparare la scuola professionale ai centri aziendali. Il Nord è più attrezzato: in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna si creano scuole aziendali assieme agli ITS per formare professionalità, ma questo non risolve il problema del giovane con bassissima scolarità e con difficoltà digitali», afferma Amicucci.

«In questi 12-18 mesi abbiamo assistito al fenomeno delle grandi dimissioni che è correlato a quello delle grandi assunzioni: non è che i giovani sono andati ad aprire un bed & breakfast su un’isola dei Caraibi», precisa. «Le figure specializzate sono contese in Italia e all’estero. «La motivazione per cui si abbandona un posto di lavoro non è solo quella salariale: le persone stanno scegliendo un rapporto più equilibrato tra il lavoro e il tempo libero; chi ha studiato vuole del tempo libero, anche il clima aziendale è decisivo», osserva Amicucci. Decisivo oltre al fattore salariale anche quello della qualità della vita. una grandissima competizione sulle fasce del lavoro alto. «Non necessariamente dobbiamo pensare che università e scuole saranno in grado di rispondere a queste nuove esigenze perché il cambiamento delle professionalità è così veloce che i sistemi aziendali devono aggiornarsi continuamente per acquisirle», aggiunge. Tra le raccomandazioni della Commissione Ue c’è quella di stimolare – dalle elementari all’università – le persone all’apprendimento: viaggiare, sapersi relazionare, usare Internet; queste nel lavoro di alto profilo saranno tra le competenze richieste. «Laddove ci sia un grande cambiamento la scuola non può adeguare continuamente le informazioni che trasmette, dunque l’apprendimento deve essere continuo».

È positivo il maggior peso dato alla formazione nella riforma del reddito di cittadinanza ma ci deve essere un concetto di formazione che cambia nella nostra vita, la formazione non è solo apprendere teorie. «L’apprendimento è fatto di atteggiamenti: stimolare la proattività è importante. Il vecchio reddito di cittadinanza faceva adagiare le persone senza stimolare la formazione e l’attivazione. Bisogna trovare tutte le forme possibili perché chi non ha lavoro venga attivato, non solo con l’apprendimento ma con un saper fare che si accompagni al sapere», conclude.

Gian Maria De Francesco

 

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