C’è un gioco ormai svelato che, invece, cerchiamo di ottundere attraverso la misera e apparentemente consolatoria dialettica tra fazioni politiche contrapposte.

Quel gioco di cui ognuno di noi conosce le regole ma le subisce malvolentieri e che attiene allo smantellamento dei confini nazionali, alla liquidità delle identità locali, all’esplosivo fenomeno migratorio e, in forma sovrastante, alla globalizzazione economica, tutti effetti prodotti da un capitalismo disumano che non possiamo confutare con pari forza rivoluzionaria per il rischio di essere tacciati di oscurantismo (ma, a questo punto, varrebbe la pena riflettere anche sui moderni concetti di rivoluzione, reazione, oscurantismo, eccetera).

Perché solo in questo modo …solo col nuovo schiavismo è possibile garantire lo sfruttamento illimitato e quindi la prosecuzione del gioco.

La dignità non ha cittadinanza in un mondo dove a governare è la legge secondo la quale bisogna trovare sempre qualcuno disposto a fare lo stesso tuo lavoro ma a un prezzo più basso.

Ecco perché questo meccanismo infernale necessita, più che in ogni altro tempo passato, di quell’esercito industriale di riserva, di cui diceva Marx. Esercito reperibile grazie alla delocalizzazione della produzione e/o all’immigrazione forzata. Trovare lavoratori disposti a lavorare a prezzi sempre più bassi e con meno diritti è la angosciante cartina di tornasole; il nostro gioco da tavolo del terzo millennio dove c’è chi è costretto a scappare dalla sua terra, e chi muove le pedine dall’alto.

Ma intanto ci ‘perdiamo’ nel misero chiacchiericcio.

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