Una nuova radioterapia si prefigge di eliminare le metastasi dal midollo spinale. “Dai dati in nostro possesso ci auguriamo che diventi una tecnica curativa e non palliativa” precisano all’Ospedale Sacro Cuore don Calabria di Negrar, in provincia di Verona, il primo centro al mondo che ha già testato una metodologia unica di radiochirurgia sulle metastasi cerebrali multiple.

La notizia ha calamitato la mia attenzione. Forse, in un altro periodo, l’avrei fatta scivolare nel cestino. Ma quando assisti impotente alla morte di un’amica giovane ti aggrappi al filo della speranza, anche post-mortem. Potrebbe essere d’aiuto a qualcuno, ti consoli, cercando un frammento di quel senso che ogni dolore ci dovrebbe lasciare. Perciò vi illustro la notizia.

A presentarcela Filippo Alongi, direttore del centro di Radioterapia Oncologica dell’ospedale veneto e professore associato all’Università di Brescia.

“Non si tratta di un macchinario ma di un sistema integrato all’interno del quale vi è un software elaborato a Palo Alto, nella Silicon Valley, l’area della California famosa per la tecnologia di precisione. Il radiochirurgo riesce a intervenire solo sulla zona vertebrale interessata alla metastasi, senza danneggiare il midollo spinale. È un lavoro circoscritto su millimetri possibile grazie anche a un sistema che ricostruisce l’immagine tridimensionale del tessuto da irradiare sull’acceleratore lineare di alta precisione. In questo modo si evita di colpire la vertebra sana e non vi sono effetti collaterali”.

Anche se le dosi di radiazione sono fino a 4 volte superiori a quelle di una radioterapia tradizionale?

“Esattamente, proprio perché il sistema consente di agire con precisione millimetrica su pochi centimetri cubi. Nessuna scottatura della pelle, nessuna fatigue post radio (la stanchezza profonda è uno degli effetti della radioterapia tradizionale). Non è una pratica invasiva, le sedute durano dieci minuti ciascuna”.

Come potete affermare che è una terapia curativa se è ancora in una fase inziale?

“Abbiamo applicato una tecnica analoga di radiochirurgia di precisione sulle metastasi encefaliche multiple, quasi un anno fa. Siamo stati i primi al mondo a usarla e abbiamo già trattato 80 pazienti con una media di sei metastasi cerebrali; ho presentato i risultati a diversi congressi oncologici internazionali, a settembre 2017 e nell’aprile e maggio di quest’anno. Abbiamo ottenuto risultati con applicazioni di pochi minuti intervenendo contemporaneamente su metastasi multiple, senza introdurre viti nel cranio e senza cicatrici”.

Si può intervenire anche sui tumori al cervello primari e non operabili?

“Abbiamo trattato 10 gliomi e 15 glioblastomi primitivi dell’encefalo, erano casi molto complessi. Questo sistema nasce per le metastasi, ci siamo però maggiormente concentrati su quelle cerebrali e della colonna perché, per motivi anatomici, è sempre stato difficile affrontare questi organi”.

Reclutate pazienti oligo metastatici, cosa significa?

 “Sono persone agli esordi della malattia metastatica, pazienti sui quali ha senso investire perché godono ancora di una buona salute generale e vi sono più probabilità di eradicare le cellule maligne”.

Quando avete iniziato ad affrontare le metastasi spinali?

“Ad aprile il primo paziente: aveva una sola metastasi da tumore alla prostata. In due mesi abbiamo arruolato una decina di persone. Lo studio preliminare di fattibilità ne prevede 40-45 con un follow up minimo di tre mesi. I risultati iniziali sono promettenti: fanno pensare a una buona possibilità di eradicazione della malattia sulla sede trattata. Verranno discussi a settembre, a un congresso internazionale dedicato”.

Tratterete anche le metastasi in altri organi?

“La radioterapia di precisione, detta stereotassica o radiochirurgia è già una realtà sugli organi del torace e dell’addome come polmone e fegato e abbiamo già ampi risultati che ci dicono che questa radioterapia, in pazienti selezionati, è competitiva al bisturi. Senza nulla togliere alla radioterapia tradizionale o alla chirurgia, sebbene il confronto con i colleghi dell’area oncologica (chirurghi e oncologi) sia sempre fondamentale. Di fronte ai tumori la visione d’insieme e quindi la multidisciplinarietà è meglio dell’approccio unilaterale”.

A proposito di insieme, quanto conta la bravura del radioterapista oncologo?

“Lo specialista è il radio-oncologo, un medico capace di leggere le immagini e di intervenire – se pur in maniera non invasiva – con la stessa precisione di un chirurgo. Non si lavora da soli ma in equipe. Il team è formato anche da fisici, da tecnici e da infermieri dedicati”.

filippo alongi

 

 

 

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