image3La discesa nel baratro ha una sua colonna sonora, ma non la senti.

Sei travolto dal crescendo del racconto, un monologo tamburellante di un’ora mezza. Cos’è la droga. Perché ho provato. Smetto quando voglio. È tutta roba naturale.

L’attore, Fabrizio De Giovanni, modula i timbri della voce e li amplifica con le braccia. A noi, in platea, le vibrazioni arrivano come lame: “Ero talmente fatto – e solo per gli spinelli – da non riuscire a guidare. Non mi sono accorto di aver sistemato il sacco a pelo in un campo di calcio, di quei tre giorni di vacanza a Rimini non ne ho avuto mai memoria, come se non li avessi mai vissuti…”.

Sono al teatro Piccolo di Milano in mezzo a centinaia di studenti e ai loro professori. Anni fa avevo recensito il romanzo autobiografico che ha ispirato il monologo. “Stupefatto” ripercorre la storia di Enrico Comi, tossicodipendente dai 14 ai 21 anni. Dopo la risalita – che non intrapresero tutti, eravamo in 19: 9 sono morti e oggi solo due sono persone libere – Comi ha dedicato la vita a spiegare ai ragazzi come ci si brucia col fumo, con le pasticche, con l’eroina: si silenzia l’anima e si vive da ebeti, eterni schiavi di un dittatore invisibile.

Se avessi saputo cosa scatenano le droghe, le mie scelte sarebbero state diverse. Non cerco alibi, perché chi prova decide in prima persona ma quando a 14 anni vedi gli amici ridere divertiti dopo il primo spinello e li scopri più simpatici e spavaldi con le ragazze, non capisci perchè i tuoi genitori ti avevano detto che il fumo fa male. E poi, qualche anno più tardi, quando ascolti il racconto estasiato di chi si inietta l’eroina pensi sempre che i tuoi genitori ti abbiano raccontato bugie…

La scena è per l’attore. Seduto sullo sgabello, le cartoline sullo sfondo (ora la piazzetta del paese, ora il bosco dove gli amici hanno abbandonato Enrico in coma…) De Giovanni colpisce ciascuno di noi a suo modo. Dovrebbe recitare, invece è terribilmente autentico.

Il paradosso è che si deve andare a teatro per sentirsela raccontare giusta…

Intanto, la canna non è terapeutica nel senso che non cura da nulla. Ci sono farmaci che fanno passare il dolore e che condividono con la cannabis il principio attivo ma sono formulati in diverse quantità e li prescrive il medico.

Poi non è vero che “cio che è naturale” non fa male. L’oppio è estratto da un fiore…

La droga ti trascina giù, nel baratro. Ti consuma il corpo (due volte in coma e crisi di astinenza da paura, ancora oggi accuso gli effetti collaterali della tossicodipendenza), ti sbianchetta l’anima e, a quel punto, se hai bisogno di soldi, ti metti anche a rubare. 

Lavoravo in fabbrica, lo stipendio non bastava più, mi servivano fino a 4mila euro al mese…È stato lui, il mio datore di lavoro ad accorgersene: non so se l’ho odiato o l’ho amato perchè ha informato i miei. 

Fabrizio De Giovanni sembra disegnare con le parole, ora vediamo il papà di Enrico, già un po’ anziano, che prende in braccio il suo ragazzo alto e magro per portarlo in ospedale. Ci sono singhiozzi soffocati ma ci sono anche tante domande che arriveranno sul palco.

Così Stupefatto ha centrato. È stato visto da 150mila studenti dopo sei anni di tournèe e 250 repliche. Ha conquistato il premio nazionale Enriquez (miglior attore, miglior drammaturgia, miglior spettacolo) nel 2016. Ha ottenuto l’approvazione del Miur, Ministero dell’Istruzione, che ne promuove la visione nelle scuole superiori. Chi fosse interessato a portare Stupefatto nel proprio istituto o oratorio può compilare la scheda sul sito, qui.

La compagnia teatrale Itineraria è impegnata nel teatro civile dal 1994. Non si parla solo di droga. C’è Casinò, storie di chi gioca sulla pelle degli altri;  Sbankati, ovvero come spiegare la crisi economica ai figli; ci sono lavori sulla Shoa, sui bambini, sull’acqua come bene dell’umanità. Qui il sito.

Il senso del teatro civile è spiegato da Fabrizio De Giovanni, fondatore della compagnia: “Partendo dall’indignazione motiviamo alla partecipazione. Perché indignarsi non basta più. C’è da sapere che si può cambiare …”.
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