Parliamo di norme per arginare il Covid. E di libertà sacrificate dai Dpcm (i decreti del presidente Conte).

La notizia arriva dal Consiglio d’Europa che ha riconosciuto una mancanza nella gestione della pandemia da parte dell’Italia perché “il nostro Stato ha omesso di notificare le misure che limitano la libertà”.

In sostanza si tratta della violazione dell’art 15 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il nostro governo avrebbe dovuto informare il Segretario Generale del consiglio europeo di aver adottato misure restrittive delle libertà fondamentali. Non avendolo mai fatto, la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) deve considerarsi pienamente vigente sul territorio nazionale ed è quindi possibile per i cittadini chiederne il rispetto dinanzi ai Tribunali nazionali e alla Corte europea di Strasburgo.

Andiamo con ordine.

È stato l’Osservatorio Permanente sulla Legalità Costituzionale a presentare un esposto al Consiglio d’Europa.

L’Osservatorio è nato da una costola del Comitato Rodotà presieduto dal giurista Ugo Mattei, proprio quando, causa pandemia, sono state imposte le prime limitazioni alle libertà. È formato da professori e giuristi di varia estrazione. 

Abbiamo intervistato uno di loro, l’avvocato Alessandra Devetag.

 “Prima considerazione. La nostra Costituzione prevede che le libertà fondamentali si possano limitare solo con le leggi. Sono previsti i “poteri eccezionali” da parte dei governi unicamente in caso di guerra.

Lo Stato di emergenza della protezione Civile, invece, consente di intervenire tempestivamente per calamità naturali ma non autorizza limitazioni delle libertà fondamentali, se non per quanto indispensabile (si pensi, ad esempio, al divieto di circolare in zone terremotate per rischio di crolli).

Ne consegue che il governo, intervenendo su libertà fondamentali attraverso decreti del Presidente del Consiglio (Dcpm) ha usato uno strumento inadeguato.

Seconda considerazione. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ratificata anche dall’ Italia, prevede che tutti gli stati rispettino una serie di libertà fondamentali. L’articolo 15 di questa Convenzione stabilisce che, in caso di guerra o di un “altro grave pericolo pubblico” che minacci la vita di una nazione, gli stati contraenti possano limitare queste libertà, limitatamente al tempo richiesto dalla situazione e a condizione che tali misure non siano in conflitto con altri obblighi di diritto internazionale.

Lo Stato che intenda adottare questa possibilità deve però comunicarlo al Segretario generale del Consiglio d’Europa, informando sulla durata delle misure e illustrandone la proporzionalità. L’Italia non l’ha fatto. Non solo. Ha imposto l’isolamento persino prima dell’11 marzo, quando ancora l’OMS non aveva dichiarato la pandemia”. 

Chi invece, fra i Paesi contraenti, ha rispettato l’articolo 15?

“Quasi tutti i Paesi dell’Est: hanno introdotto le misure restrittive dopo l’11 marzo e lo hanno comunicato (Estonia, Georgia, Armenia, Serbia, Romania, Repubblica di Moldavia, Repubblica di Macedonia, Lettonia ed Albania). La Francia, ad esempio, non avendo espressamente accettato l’imposizione dell’art. 15, non aveva obbligo di notifica. San Marino ha avviato lo stato di emergenza il 5 marzo, prima che l’OMS proclamasse la pandemia, ma lo ha notificato al Consiglio d’Europa”. 

Peggio dei Paesi dell’Est. E in Europa chi si è comportato come noi?

“Non è facile saperlo perchè bisognerebbe verificare quanti Paesi, benché firmatari della CEDU, abbiano anche accettato l’obbligo di notifica imposto dall’art. 15 CEDU. Andrebbe poi anche verificato che misure hanno adottato gli altri Stati europei: potrebbero, ad esempio, avere omesso la notifica, pur essendo tenuti a farla, ma essersi astenuti dall’adottare misure restrittive come quelle italiane”.

Cosa comporta il riconoscimento della mancanza italiana?

“Il Segretario del Consiglio d’Europa dice chiaro: la CEDU deve considerarsi in Italia pienamente vigente e i cittadini possono pretenderne l’applicazione sia da parte dei Tribunali nazionali che da parte della Corte di Strasburgo. Qui si apre però una difficile interpretazione: per arrivare alla CEDU il cittadino dovrebbe prima impugnare i provvedimenti davanti a un giudice italiano e solo quando ha esaurito tutti i gradi di giudizio andare davanti alla CEDU. La domanda da porsi è, quindi, se per un cittadino sia percorribile la strada interna, ad esempio impugnando un Dpcm. A mio avviso la risposta è negativa: i Dpcm sono difficilmente impugnabili davanti a un Tribunale, sia per la loro natura “ambigua” (sono a metà tra un atto di indirizzo politico e amministrativo) sia perché hanno una durata ridotta, che li rende già obsoleti prima ancora di giungere dinanzi a un giudice”.

Quindi i Dcpm non si possono impugnare davanti a un giudice?

“Esatto, la difficoltà è anche questa: un Dpcm può incidere in modo estremamente aggressivo su diritti e libertà fondamentali ma andrebbe impugnato dinanzi al TAR, il tribunale dedicato a verificare gli atti amministrativi, mentre non può essere giudicato dalla Corte Costituzionale. Invece i diritti compromessi sono tutelati dalla Costituzione, Pensiamo a chi non ha potuto lavorare e mantenersi durante il lockdown, a chi ha dovuto abbandonare i propri cari in ospedale, lasciandoli morire da soli, o a chi, da genitore separato, non ha potuto vedere i propri figli. 

Si è creata una zona grigia ove tutto è possibile”.

Gli italiani possono chiedere giustizia?

“Con l’Osservatorio stiamo studiando proprio questo. La mia impressione è che l’Italia non metta a disposizione strumenti di tutela e quindi che il cittadino possa rivolgersi direttamente alla Corte d’Europa. Il termine per presentare ricorso è di sei mesi e decorre o da quando è stata pronunciata l’ultima sentenza dai Tribunali nazionali (quindi gli strumenti interni sono esauriti) o da quando è cessata la violazione. Ad esempio, il lockdown terminò a maggio 2020, il ricorso alla CEDU scadrebbe a novembre 2020. Se invece un cittadino fosse stato multato potrà impugnare la sanzione in Italia davanti al giudice competente e, una volta conclusi tutti i gradi di giudizio, potrà rivolgersi alla CEDU. E’ necessario che gli avvocati valutino le singole situazioni ed è consigliabile ai cittadini di riunirsi per sottoporre a un legale le loro posizioni, che in alcuni casi potrebbero essere trattate congiuntamente.

Attenzione anche a un altro aspetto: i tribunali italiani, dove fosse possibile interpellarli per ottenere ristoro dei danni subiti, potrebbero solo condannare lo Stato a un risarcimento dei danni, mentre la Corte europea ha facoltà, in alcuni casi, di indicare le misure che lo Stato deve adottare per porre fine alle violazioni, impedendo così la notifica di altri ricorsi simili”.

L’articolo 2 della CEDU tutela il diritto alla vita. Vi è stata una violazione quando abbiamo lasciato che i nostri anziani morissero in solitudine?

“Ce lo si chiede. L’art. 15 della CEDU attribuisce la possibilità, nei casi che abbiamo specificato, di limitare diritti e  libertà fondamentali ma specifica che nessuna deroga è autorizzata riguardo al diritto alla vita, tutelato dall’art. 2 CEDU. Molti anziani sono stati costretti ad una morte in assoluta solitudine, forzati a congedarsi dai propri cari con un sms, circondati da sconosciuti. Quanti sarebbero sopravvissuti se amorevolmente accuditi dai loro cari? Quanti sarebbero almeno morti dignitosamente?”.

 

Tag: , , , , ,