Passano i giorni e la vicenda dei Carabinieri di Piacenza lascia l’amaro in bocca. Al netto dell’orrenda vicenda, non c’è stata alcuna levata di scudi in difesa della Benemerita. Non voglio entrare nel valore della situazione emiliana, perché questo è il contrappasso del volto umano e pulito della Giustizia. La vergogna spesso ci mostra la realtà sotto mutevoli forme, ma come possiamo pensare di mettere in dubbio l’Arma dei Carabinieri? Non è possibile smettere di credere nel sistema, questo sistema, quello che rappresentano le istituzioni sane del nostro Paese perché il sistema ha gli anticorpi per salvaguardarci e salvaguardarsi. Perché la fede nelle istituzioni non può precipitare davanti alla mancanza di fedeltà da parte di pochi. Perché, ricordate, che il marcio di questo mondo attira verso il proprio epicentro la rettitudine, rettitudine capace di sopravvivere come un fiore alle alte quote.

Per non perdere la fiducia nei Carabinieri bisogna innanzitutto conoscere la loro storia. Nessuno ci parla più della carica di Pastrengo. 30 aprile 1848. La Prima guerra d’Indipendenza era iniziata da poco più di un mese. I Carabinieri Reali si resero protagonisti, nel corso della battaglia, di una carica, al fianco dell’esercito piemontese, che stravolse l’esito del conflitto. Un’impronta indelebile nella storia d’Italia. In quell’occasione i Carabinieri caricarono “vigorosamente” il nemico facendo “ampia ammenda della debolezza di quei pochi loro compagni; in pari tempo una compagnia di cacciatori dell’8° gettatasi alla corsa e a baionetta spianata sul nemico, un battaglione del Piemonte saliva dalla sinistra del colle, e il maggiore La Marmora caricava alla rinfusa usseri e fanti nemici”. La peripezia, il 20 giugno 1909, valse la Medaglia d’argento al valor militare alla Legione Allievi dell’Arma.

Oppure possiamo condurre la storia alla Prima guerra mondiale. Durante il conflitto l’Arma svolse il tradizionale compito di polizia militare. Ma il 19 luglio 1915 fu impegnata sul Podgora nella sesta battaglia dell’Isonzo che portò alla conquista di Gorizia. Addirittura il Vate d’Italia, Gabriele D’Annunzio, disse: “È l’Arma della fedeltà immobile e dell’abnegazione silenziosa; l’Arma che nel folto della battaglia e al di qua della battaglia, nella trincea e nella strada, nella città distrutta e nel camminamento sconvolto, e nel pericolo durevole, dà ogni giorno uguali prove di valore, tanto più gloriosa quanto più avara le è la gloria”. Con l’ardire e la disciplina i Carabinieri Reali, senza l’equipaggiamento ed i viveri adeguati, riuscirono a fronteggiare gli austriaci senza abbassare la testa, solo per difendere il tricolore insanguinato dal loro eterno giuramento. I costi umani furono ingenti: 53 morti, 10 dispersi e 143 feriti. Il comandante della brigata Pistoia, nelle sue memorie scrisse: “I carabinieri stettero saldi e impavidi sotto la tempesta di piombo e di ferro che imperversava da ogni parte”. Anche il generale Luigi Capello, nel novembre del 1915, volle rendere omaggio alla Benemerita: “Non voglio che resti ignota a nessuno dei loro compagni di battaglia e di fede l’assidua opera, non meno meritoria perché modesta, con la quale i Carabinieri Reali del Corpo d’Armata cooperarono al raggiungimento degli scopi comuni. Nell’adempimento delle loro complesse mansioni, nella diuturna azione da essi svolta, oscura e talvolta ingrata, la quale ben spesso è sacrificio che rimane ignorato, non sogno di gloria li guidava, ma la rettitudine di cui è foggiata la loro coscienza, l’alto sentimento del dovere che fa loro compiere con semplicità gli atti più eroici, la fedeltà nelle istituzioni che è dote non mai smentita delle tradizioni della loro Arma”.

Possiamo tornare, ora, ai giorni nostri e volgere lo sguardo indietro di un solo anno il 2019. Per salvare una vita bastano pochi secondi. Sulla strada provinciale Paullese, nelle vicinanze di San Donato, un bus di Autoguidovie è in fiamme. Osseynou Sy, autista senegalese, ha dato fuoco al pullman con all’interno 51 studenti delle scuole medie. Si ha dirottato il mezzo e lo ha cosparso di benzina per dirigersi verso l’aeroporto di Linate. La rivendicazione: “Devono fermarsi i morti nel Mediterraneo”. La vendetta è dietro l’angolo, qualcuno deve intervenire. Fortunatamente uno degli studenti riesce a chiamare i Carabinieri che intervengono. Giuseppe De Lorenzo ha raccontato così la vicenda sulle colonne de Il Giornale: “I primi ad arrivare sono i militari di Segrate che provano a tagliare la strada all’autobus per bloccarlo sulla carreggiata. Il senegalese però sperona l’auto di servizio e la trascina per diversi metri, poi si ferma a causa del traffico. In questi brevi ma fondamentali momenti di stallo, uno dei carabinieri scende dalla gazzella tamponata e raggiunge il mezzo. Si fa strada verso il lato posteriore dell’autobus, spacca con le mani il vetro e riesce a far scendere una cinquantina di bambini a bordo del bus. All’interno le fiamme stanno già divampando. Il militare rimane ferito alle mani, forse a causa dei vetri divelti in quel gesto di coraggio. Ma il suo e quello del collega che era con lui è stato un intervento che ha sicuramente salvato la vita a decine di ragazzini. E forse impedito una carneficina”. Come può questo eroismo, che ha più di 200 anni, far decadere la fiducia che riponiamo in 110mila carabinieri? Ricordiamoci di questo episodio, di quello che fu e di quello che sarà, perché la lealtà non conosce ostacoli e non conosce infamia.

Potrei citare altre decine e decine di episodi gloriosi del passato e del presente di cui sono stati protagonisti i nostri Carabinieri. Carabinieri che rappresentano l’Orgoglio del
nostro Paese. Donne e uomini che tutti i giorni indossano con grande dignità, onesta, spirito di abnegazione e con rispetto la propria divisa che rappresenta lo Stato Italiano. Tutto questo per ricordare e ribadire che un manipolo di uomini corrotti non potrà, mai e poi mai, scalfire la magnificenza e l’eroismo dell’Arma dei Carabinieri. www.IlGiornale.it

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