veneziaGrazie al cielo, Venezia sta finendo. Così i giornali torneranno a parlare di quello che la gente va a vedere al cinema e non di quelle pellicole che mandano in estasi solo la critica colta, incensate con le articolesse degli adepti della sacra recensione unita. A leggere i resoconti dei colleghi al Lido ho raccolto un certo disappunto per la nostra partecipazione italiana. Si è puntato il dito, soprattutto, contro le sceneggiature approssimative, le velleità troppo autoriali di alcuni registi, la mancanza (in alcuni casi) di sostanza. Tutti a strapparsi le vesti davanti a questo grande malato, il cinema italiano, che nelle previsioni di questi addetti ai lavori non incasserà premi in quel di Venezia. Vedremo se avranno profetizzato il giusto, ma intanto benvenuti a bordo, cari critici. Non c’era bisogno del Festival del Cinema per rendersi conto di quanto la settima arte di casa nostra stia attraversando un periodo poco felice. Salvo qualche rara eccezione (Perfetti Sconosciuti e Lo chiamavano Jeeg Robot, per citare un paio di strepitosi titoli), si esce dalla sala, il più delle volte, delusi da un nostro film. Non che la buona volontà manchi in tanti nostri registi: il problema è il passo più lungo della gamba. Ci sono sceneggiature che presentano personaggi abbandonati poi per strada, il più delle volte irrisolti, che non crescono durante il film incarnando fastidiosi stereotipi. Protagonisti che si esprimono perfettamente in inglese (perché nel magico mondo idealizzato dai alcuni nostri sceneggiatori e registi, i ragazzi italiani lo parlano tutti come dei traduttori professionisti, indipendentemente dalla scuola frequentata o dalla estrazione sociale), ma che poi fanno clamorosi strafalcioni in italiano. Insomma, tante buone idee che covano sotto la cenere senza riuscire a prendere realmente fuoco. Non penso, a differenza di molti colleghi, che sia tutto male o brutto. C’è una generazione di nuovi registi che se imparasse a non guardare ai “maestri”, ma a camminare con le proprie gambe, a pensare solo con la propria testa, infischiandosene del doversi ispirare (uno dei grossi mali del cinema moderno) sempre a qualche “grande”, potrebbe regalarci grandi soddisfazioni. Ma al giorno d’oggi, in Italia, è permesso esprimersi al di fuori del circolo chiuso?

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