La figlia del ministro Padoan fa la barricadera. Sulla sostanza della lotta nulla da eccepire. Da quello che si è capito questi attivisti di cui fa parte Veronica Padoan, appartenenti alla rete «Campagna in lotta», monitorano vicende poco chiare legate a Rignano Garganico dove si troverebbe cccccuna baraccopoli con 2.000 lavoratori agricoli extracomunitari.

Dunque, poco da dire sull’impegno politico che parrebbe dalle informazioni fin qui rese note dalla stampa anche condivisibile.

Ma il fronte dialettico è un altro. Innanzitutto questi figli di lotta e di governo rappresentano una peculiarità antropologica. Un caso di studio per esperti del settore. Vorrei farli psicanalizzare. Perché non è la prima volta che capita. Il ministro democristiano Donat Cattin lo ricordiamo per il figlio affezionato alla Prima Linea di lotta e di governo, un po’ teorico e un po’ pistolero. Ma lì si era fuori la legalità ed il paragone con Veronica non regge. Epperò questo fatto apre comunque ad una alternativa agghiacciante: o i due non si parlano a casa, a riprova del definitivo declino dell’istituto familiare. Oppure si parlano e suo padre non ha alcun peso politico nel governo per rimediare allo sconcio della baraccopoli.

Non dico di risolvere tutto all’italiana: vale a dire, telefonare a papà e risolvere la questione con una raccomandazione. Ma se anche la figlia di un ministro contesta il Governo di cui suo padre è il membro più influente e nulla cambia, c’è da farsi il segno della croce e pregare.

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