All’università fui costretto a fare la tesi di laurea sul movimento cooperativo cattolico. E il termine ‘costretto’ non è un eufemismo. I professori dilatavano i tempi di assegnazione e l’anno di militare era sempre più vicino. Avevo tutt’altre idee per la testa ma nel medio termine mi fu prospettata solo questa possibilità. Avessi insistito su temi a me cari, sarebbero passati almeno due anni.

Dunque , partì male e finì peggio perché avendo molti pregiudizi sul sindacalismo non mi appassionava l’idea di stare chino sui libri. Avevo nella testa quello a me più prossimo, ideologizzato e fuori dal tempo; che inneggiava alla rivoluzione proletaria, all’Urss e vedeva padroni e nemici ovunque. Man mano che passarono i mesi setacciando tra vecchi volumi e molta pubblicistica di fine ottocento scoprii che tante di quelle battaglie erano condivisibili. Anzi, c’era qualcosa in più. Quel mondo mi stava entrando nella pelle. Addirittura pensai che forse, fossi nato in quel tempo, sarei stato dalla loro parte. Avrei imbracciato la loro bandiera e sarei andato in giro per fabbriche e campagne.

La Tesi non fu un granché perché i pregiudizi pesarono sull’assiduità e sulla robustezza dell’impegno ma compresi in pieno tutte quelle idealità e la funzione morale oltre che civile e politica del sindacalismo degli inizi. Le Società operaie di Mutuo soccorso, i movimenti cooperativi bianchi e rossi, insomma tutto un mondo necessario per la evoluzione sociale del nostro Paese che rappresentò, pur tra mille appesantimenti ideologici amplificatisi però solo nel secolo successivo, un anelito di libertà e di progresso essenziali quanto l’aria che respiriamo.

 

Ne è passato di acqua sotto i ponti. Da tempo non è più così. Lo sappiamo tutti. E lo sanno anche loro. I sindacati sono una casta al pari dei partiti e di tante altre associazioni di categoria. Corporazioni che difendono un misero orticello e che, per via della globalizzazione, delle delocalizzazioni industriali e di una legislazione orientata sempre più in senso liberista, tende ad essere sempre più ristretto. Eppure, lo difendono comunque, fuori da ogni logica.

Negli ultimi decenni si erano in parte trasformati in agenzie di collocamento per i propri tesserati, in parte in pesanti catafalchi utili a sorreggere e ad alimentare polverose macchine amministrative dislocate su tutto il territorio.

Ora scopriamo che le Coop di alcune provincie italiane accusano le istituzioni pubbliche lamentando ritardi nei pagamenti e perciò minacciando di tirarsi indietro dall’accoglienza e dall’assistenza ai migranti. In sintesi: se il Governo o le Regioni non tirano fuori il danaro, sono pronte a dar un calcio nel sedere agli immigrati e a lasciarli fuori la porta. Applicano la legge del Mercato, proprio loro che del Mercato dovrebbero correggerne gli errori e compensare la legge della giungla con la solidarietà e la redistribuzione. E danno sfogo all’egoismo di casta, proprio loro che dovrebbero difendere deboli e indifesi.

Leggo poi commenti acidi da parte di editorialisti e di politici e la cosa mi crea sgomento. Mi meraviglio di chi si meraviglia perché i sindacati non esistono da decenni. Sono un ectoplasma che quando si materializza lo fa quasi sempre per motivazioni di basso profilo.

Hanno ormai una ragione sociale diversa. Difendono talune categorie e se ne strafregano di tutto il resto. Sprofondasse l’Italia a loro interessa poco. Vivono per tutelare interessi di una parte; di una piccolissima parte che non include coloro i quali investono una vita di stenti rincorrendo le nuove forme di lavoro precario, i disoccupati ed almeno un’altra dozzina di categorie, e di conseguenza trascurano diverse decine di milioni di persone a cui non volgono nemmeno lo sguardo.

Ed è evidente che tanti sindacalisti che gestiscono il business dell’accoglienza sanno poco di cooperazione, diritti, mutualismo; sanno poco di preti che, a fine ottocento, dopo aver detto messa, si industriavano con regolamenti e statuti per permettere migliori condizioni sanitarie e di lavoro ad operai allora davvero simili a schiavi; non conoscono la storia della loro associazione, né vogliono al contempo renderla attuale. Giocano il loro ruolo nella società del Mercato come farebbe un capitalista in sedicesima. Ecco, loro non fanno bene né il mestiere dei sindacati né quello dei capitalisti. Fanno tutto in sedicesima.xxxxxxx

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