Nasce il partito islamico italiano?
Francamente non si sentiva il bisogno di un nuovo partito ma l’idea di costituirne uno islamico lanciata da Hamza Piccardo, nel gennaio scorso, inizia a ricevere i primi consensi pubblici e a eccitare dibattiti e, dunque, non è più possibile sorvolare sul tema.
Tra i fondatori dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche in Italia, dai più considerata derivazione diretta dei Fratelli musulmani, Piccardo proviene da esperienze politiche di estrema sinistra. In passato, ha pure rilasciato dichiarazioni equivoche sulla poligamia, l’uso delle armi per diffondere la religione islamica e cose di questo tipo. Dando per buone le sue reiterate giustificazioni tese a smorzare le polemiche e a rendere meno drastiche e sbrigative le sue mai vaporose dichiarazioni, non possiamo però tirarci fuori dal dibattito e di conseguenza non porre giusta attenzione a quello che all’inizio pareva solo una boutade. Una sorta di appello che invece acquista consensi sul territorio e, visti i tempi infelici nei quali viviamo, squassati da attentati terroristici e fondamentalismi vari, appare da qualche giorno non più come una banale ‘uscita’ mediatica di carattere propagandistico.
L’obiettivo di creare un partito islamico italiano desta preoccupazione soprattutto se si valuta il fatto che si rivolgerebbe ad un potenziale bacino elettorale di due milioni di voti. Ma ciò che pare ingarbugliata e azzardata è l’idea stessa di un partito settario e partigiano (nonostante il termine ‘partito’ faccia espressamente riferimento al concetto di ‘parte’), così come allo stesso modo potrebbe esserlo sull’altro fronte un partito cattolico o ateo nell’Anno Domini 2017. Non tanto per le intenzioni primarie: vale a dire, per inverare il fatto che l’istituto democratico e i valori che ne discendano, finalmente possano garantire la partecipazione democratica a tutti coloro i quali si sentono tagliati fuori per motivi religiosi, culturali, etnici, eccetera. Ma perché saremmo di fronte ad un modello stereotipato e obsoleto di partito, una sorta di democrazia cristiana fatta da musulmani, traslata però nel terzo millennio e in un mondo globalizzato, complesso ed eterogeneo, dove i propositi di chiusura verso ‘l’altro da sé’ e di rilancio di una certa ortodossia religiosa non potrebbero in alcun modo portare frutti positivi; anzi, renderebbe più acuti i conflitti.
Radicalizzazione e polarizzazione sono infatti i fronti sui quali musulmani e resto del Paese si stanno già pericolosamente confrontando in questi ultimi decenni e fondare un partito che dovrebbe tutelare gli interessi esclusivi di una parte, in questo caso di una comunità religiosa, risulterebbe provocatorio e pericoloso.
Ricordo agli amici islamici che l’articolo 49 della nostra Costituzione dice che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». C’è poco altro da aggiungere. Nulla vieta loro di riunirsi liberamente per determinare la politica nazionale. Epperò lo stesso vale per gli altri 58milioni di italiani che vorrebbero vivere in un contesto sociale e democratico che, pur non negando la eterogeneità delle culture presenti sul territorio, metta in primo piano i valori fondanti della nostra civiltà che sono quelli dell’accoglienza e della solidarietà ma sopratutto di una identità più o meno chiara da almeno un paio di millenni.