Gli echi di guerra
Gli echi di guerra che in queste settimane rendono per molti cittadini addirittura fascinose le ipotesi di scontri armati tra civiltà, nazioni, potenze imperiali e religioni rappresentano una carnevalata da brivido. Lo dico non perché preferisca le paludi della non-decisione e del compromesso al ribasso ma perché il disincanto asettico che leggo in molti commenti internettiani e pure in talune approssimative disamine giornalistiche ha poco o nulla della dirompente potenza emotiva delle antiche ‘’tempeste d’acciaio’’. Quelle furono tragiche, sommersero di inutili cadaveri l’intera Europa, ma ebbero dei complessi scenari culturali e ideologici che le sostenevano. Ciò non ne riduce le colpe ma almeno ne fa comprendere talune motivazioni. Ora invece questa condivisa isteria per guerre che porterebbero a disastri senza rimedio è fiacca dal punto di vista teorico e pratico.
Eppure, dobbiamo tener conto di questa ennesima schizofrenia. Di fronte a coreani che minacciano di usare l’atomica, ai Trump che vanno loro dietro come scolaretti cui è stata rubata la merenda, ai Putin che utilizzano i pur innegabili talenti in tema di scaltrezza e perciò tralasciano ogni ipotesi diplomatica, alla Siria e agli Assad, all’Isis e ai flussi migratori, all’informazione globale che tritura notizie vere con la stessa intensità e velocità con la quale spande quelle false …insomma, di fronte a tutto ciò, l’offesa militare appare per molti l’unico terreno praticabile.
Solo qualche anno fa l’avremmo definita ‘’ follia generalizzata’’ mentre ora quote consistenti di classe dirigente e cittadini sarebbero pronte allo scannamento totale, magari partendo da motivazioni bislacche come il misurare la vicinanza (sentimentale, politica, ideologica) agli uni e la distanza dagli altri. Insomma, istigando guerrafondai per ripicca, per rappresaglia, per difendere ecumenici valori di moralità e democrazia declinati però sempre secondo autonomi codici interpretativi.
In realtà, attraversiamo una simile fase perché siamo assuefatti al conformismo ideologico e perciò privi di qualunque comprensione che vada oltre il contingente. Qui c’è poco delle ‘’tempeste d’acciaio’’ e molto ‘‘denaro sonante’’. Ci teniamo ancora a mostrare sussulti di virilità perché da decenni la nostra società è castrata di strategie e valori fondanti; e dunque in preda agli spasmi dell’uno e dell’altro dittatore, dell’uno o dell’altro presidente democraticamente eletto. Pronti a sostenere e plaudire la vittoria di una Le Pen, di un populista, di una post-comunista o peggio di un tecnocrate di vecchia scuola perché in definitiva sentiamo la necessità di aggrapparci ad un’ultima e bugiarda incarnazione di autorità e potenza.
Questo orgoglio esterofilo che ci fa rincorrere i leader stranieri e talune loro bizzarre tesi nasconde infatti l’inadeguatezza nel caricarsi del dolore del proprio tempo e nel prospettare il futuro. Il continuo andar dietro ogni seppur minimo sussulto esterofilo è dimostrazione plastica del nostro ‘’non esserci’’ nel mondo. Come su una nave sballottata dalle onde, una volta ci rinserriamo dalle parti della prua e un’altra a poppa, ma senza che destino e direzione della nave solletichino il nostro minimo interesse. Se tuttavia la libertà la confondiamo con il nostro continuo rotolare da prua a poppa, come correlata conseguenza non può che esservi il fatto che un giorno reclamiamo a gran voce l’utilizzo di missili di grossa portata e l’altro ancora che siano destituiti tutti i tiranni del mondo.