I peccati di Mons. Galantino
Come nel film di Steven Spielberg anche da noi c’è un soldato da salvare, ed è lui: Nunzio (Ryan) Galantino, segretario generale della Cei, combattente indefesso della più retorica delle battaglie, quella per l’accoglienza illimitata di tutti i migranti del globo terraqueo. Campione di ecumenismo e di rimbrotti. Giudice moralista che si erge una decina di metri dal suolo per impartire lezioni di politica alle classi dirigenti mentre infuriano tempeste impetuose da cui nessuno riesce a tirarsi fuori.
Ma lui ha la soluzione ed è quella più netta e definitiva. Ogni sua dichiarazione è una sentenza ed ogni intervista un Trattato sulla tolleranza.
Si badi bene: il moralismo è cosa lecita e, peraltro, non rara dalle parti del Vaticano, luogo fisico e spirituale in cui si adotta questo strumento ‘per mestiere’ da almeno duemila anni. Ma sono cambiati il modello comunicativo e il contesto generale. E se sul primo mons. Galantino è un fenomeno perché riesce a ficcarsi in ogni diatriba sull’immigrazione impartendo rimproveri e moniti a destra e a manca, sul fronte della consapevolezza e della cognizione dei reali problemi dei cittadini italiani pecca, e non in maniera veniale.
In momento in cui il clima generale non è dei migliori e sembra preannunziare un pericoloso conflitto sociale tra opposte fazioni, di cui peraltro non si conoscono gli esiti; in un tempo in cui milioni di italiani sono poveri in senso assoluto e non figurato e percepiscono ‘l’altro’, anche il loro vicino di casa, con ostilità ingiustificata ma comprensibile, Galantino trancia ogni sua considerazione sul tema dell’accoglienza con la lama della Verità, quella con la ‘V’ maiuscola, e si schiera da una parte.
Non ammette deroghe e non cerca mediazioni come in passato ha sempre fatto una gerarchia cattolica sempre astuta e pragmatica, ferma sui principi ma pratica sugli strumenti legislativi.
E dunque pecca. Pecca di ignoranza perché finge di non sapere che gran parte dei nostri connazionali hanno problemi pratici simili a quelli dei clandestini (perché tali sono!); pecca di reticenza perché chiede alle Istituzioni di non porre freno all’accoglienza, ma non spiega per quali motivi parrocchie e, magari, lo stesso Vaticano, i palazzi cardinalizi e le sedi vescovili non sono traboccanti di immigrati come pure aveva auspicato Papa Francesco; pecca di superbia perché – come detto – per raggiungere i suoi ‘alti’ scopi, un tempo la Chiesa riusciva a modulare antica e riconosciuta capacità di ‘realismo politico’ e mellifluo contorsionismo para-democristiano con le comprensibili tirate moralistiche e gli ammonimenti perentori e tassativi; e pecca di vanità perché era difficile trovare ‘uno’ che superasse in numero di dichiarazioni pubbliche Matteo Renzi. Ed era ancor più complicato trovare uno più ‘divisivo’ del rottamatore di Rignano. E invece le ‘vie del Signore sono infinite’ e lo abbiamo trovato.