Le elezioni politiche del 4 marzo ci consegnano un parlamento diviso in tre blocchi distinti con una previsione di seria e duratura governabilità vicina allo zero. E ogni sorta di alleanza, seppur prodigiosamente raggiunta, sembrerebbe posticcia agli occhi di qualunque cittadino, soprattutto se si riutilizzassero schemi da Prima repubblica (‘‘Governo della non sfiducia’’, ‘‘convergenze parallele’’, eccetera ) o gli abituali espedienti raccattando ‘responsabili’ di ogni colore politico pronti a correre in aiuto del vincitore.

 Qualsiasi combinazione che preveda l’alleanza tra due blocchi, lasciando il terzo all’opposizione, rischierebbe di ridimensionare in maniera drastica il futuro capitale elettorale del più forte dei contraenti. Questo perché ogni blocco ha dichiarato sin dall’inizio di essere alternativo agli altri due e un’alleanza, seppur auspicata da tanti e magari ‘istigata’ dalla sempre fascinosa e intimorente ‘moral suasion’ proveniente dal colle più alto di Roma e da una serie di poteri trasversali, non sarebbe capita da gran parte dell’elettorato che, al contrario, legge nei risultati elettorali una sorta di incipiente rivoluzione democratica.

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Dalle urne è infatti venuto fuori tutt’altro.

Mai come questa volta la stragrande maggioranza degli italiani ha sentenziato in maniera chiara e forte la sua idiosincrasia al politicamente corretto, all’Europa (almeno a questo modello europeo), all’establishment finanziario e a tutta una serie di poteri che, da Bruxelles a Roma, di democratico hanno poco o nulla. Lo ha fatto in modi diversi, con sensibilità e tonalità eterogenee, ma la sostanza non cambia.

 E allora perché non cogliere l’occasione? Perché non lasciare sopire per un po’ gli egoismi di parte, comprensibili ma il più delle volte speciosi, e invece leggere la verità del risultato elettorale? Perché non mettere da parte future rendite di posizione per il bene dell’Italia? Perché non prendere atto che le rivoluzioni si fanno nei momenti di forte crisi sociale ed economica e non nei momenti di calma piatta?

 Per la prima volta nella storia della Repubblica potremmo avviare una seria fase costituente con una sinistra non più in grado di costringere le controparti ad estenuanti mediazioni per via di difese ideologiche di una Carta nata dalla resistenza e dalla lotta al nazismo e al fascismo, e perciò inviolabile.

 E vi sarebbe un ulteriore elemento di novità. Ogni qual volta si è tentato in passato, tramite le famose Commissioni parlamentari per le riforme costituzionali, di modificare anche il più piccolo e insignificante comma, pressante oltre che asfissiante è stata la ossessiva campagna stampa degli intellettuali organici, degli artisti di ogni ordine e grado, dei grandi giornali, dei mercati (borsistici, s’intende!) attraverso le facce dei soliti noti, dei salotti italiani ed europei, dei tecnocrati e degli esperti di ogni risma, attraverso la quale elevavano il loro grido morale.

 Il dato politico, spurio delle fandonie e degli impegni fantasmagorici presi in campagna elettorale, dai miracoli evocati sull’occupazione, sulle pensioni e su tutto il resto, è inconfutabile se ridotto all’osso: «l’Italia come oggi è, non piace alla stragrande maggioranza dei cittadini»…per parafrasare il vociano Amendola.

 Nonostante le tante rassomiglianze tra classe politica e cittadini, vizi dell’uno e difetti degli altri, questa volta un segnale di discontinuità è stato dato.

 E allora c’è un elemento ‘significante’ da non disperdere nelle secche delle trattative che si avvieranno in queste ore: dopo anni di incubazione e fermentazione, il populismo delle destre e quello dei grillini dovrebbe compiere il suo salto di qualità e non restare impelagato nella fanghiglia del risentimento, comprensibile in questa fase ma indecifrabile se durasse all’infinito.

 Di conseguenza, a dispetto di quanto scrisse Matteo Renzi, potrebbe essere proprio questa «la volta buona», grazie ad una intesa ‘alta’ tra un centrodestra a trazione sovranista, un Movimento Cinque Stelle che, nonostante ingenuità e limiti di vario genere, si è fatto interprete di un moto reale di ribellione alla casta, e una sinistra che, ridotta al lumicino, non potrà appesantire oltre il consentito il dibattito, con la retorica resistenziale, dei padri costituenti, dell’intangibilità della ‘sacra Carta’, e così via.

 Non un banale governo di larghissime intese ma qualcosa in più. Una vera e propria fase costituente, a differenza del passato, forgiata su una solida garanzia di partenza: una assoluta rappresentatività degli interessi e delle tesi di fondo della quasi totalità degli italiani data dai due terzi di parlamentari eletti i quali, a loro volta, interpreti della insoddisfazione e della rabbia di due terzi degli italiani, potrebbero lanciare un segnale di rottura e lavorare per un Paese finalmente pronto a rifondarsi.

 E così potremmo tornare non solo a ragionare (esercizio nel quale siamo super esperti!) ma a ridefinire e ad approntare una nuova forma di Stato e di governo, un modello presidenziale o semi-presidenziale, una riforma complessiva dell’ingegneria costituzionale con un riassetto dei poteri delle Regioni, delle province e dei comuni, una legge elettorale decente, una riduzione del numero dei parlamentari, una rivisitazione dello strumento referendario, e una dozzina di altre questioni, oramai incancrenitesi in un chiacchiericcio decennale, e sopratutto avere la forza necessaria di ‘andare in Europa’ tutti insieme per ridiscutere qualche vecchio accordo.

 C’è una Italia pronta al cambiamento e non nel senso auspicato dai mercati o dalle multinazionali. Una comunità nazionale che vuole tornare a recitare il suo ruolo di grandezza nello scenario globale. Ma altresì sente la necessità di uno Stato vicino e non nemico.

I passati tentativi di riforme costituzionali fallirono miseramente e spesso per penose ripicche tra finti amanti. Non sciupiamo l’occasione storica. Solchiamo insieme questo oceano sconosciuto. Poi avremo tutto il tempo per dividerci di nuovo.

Ma adesso chiediamo coraggio ai nostri governanti. Hanno preteso un segnale forte che è arrivato dirompente e poderoso.

Lo utilizzino nel gioco parlamentare non per vecchi giochetti ma per una svolta rivoluzionaria.

Ora o mai più!

 

 

 

 

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