Facebook CEO Mark Zuckerberg makes his keynote speech during Facebook Inc's annual F8 developers conference in San Jose

La chiusura di centinaia di account Facebook e di Instagram riferibili a tutto quel mondo identitario, sovranista, comunitario, che forse un tempo avremmo definito generalisticamente di destra, è un brutto episodio. Ieri, nel giro di pochi minuti, con un’azione organizzata militarmente e con perizia chirurgica venivano fatte sparire dal web tutte le voci dissenzienti rispetto al generale mainstream. Un brutto segnale non solo per la “democrazia”, ma per il futuro immediato di ogni singolo individuo visto che una parte non esigua della politica italiana ha subitaneamente rincarato la dose indicando questa azione censoria come utile e necessaria premessa per una più ampia battaglia contro il ritorno dei fascismi.

Una follia pura. Un cortocircuito in cui chi difende i diritti lo fa tappando la bocca a chiunque esondi dal proprio ruolo di imbelle cittadino-consumatore e tenti di pronunziare anche la più esigua e flebile frase di dissenso.

Ma quanto accaduto è preoccupante per altri due ordini di motivi. In primo luogo per la motivazione. Il fatto che i profili siano stati cancellati perché incitassero all’odio è tutta da dimostrare: chi decide cosa è odio e cosa è battaglia politica? Chi decide quali siano i valori “giusti”, quelli cioè da difendere, e quelli sbagliati? E poi: la democrazia non si sostanzia di dibattito, di contrapposizioni, di dura battaglia tra opposti per poi ricomporsi nel più civile e ordinato dibattito parlamentare? E quindi: se alcune di queste sigle politiche si ammettono alle elezioni perché poi si cancellano dalle reti sociali? Ed infine: se piattaforme di tal genere perdono quell’alone di neutralità nel momento in cui i loro proprietari esprimono, appoggiano (anche con ingenti finanziamenti) delle battaglie politiche e ideali e salgono sul ring della lotta culturale, economica, ideale e politica, come possono essere plausibili le loro motivazioni?

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Da quanto accaduto si evince perciò una strategia precisa, massiccia e organizzata, per circoscrivere quell’arcipelago di associazioni, movimenti, partiti, intellettuali che prova a non piegarsi alla dittatura liberal. Stessa sorte capitò qualche mese fa anche al sottoscritto a cui furono cancellati due profili Facebook per fantomatiche «violazione degli standars». Allora lo giudicai un episodio isolato ma visto quanto accaduto nella serata di ieri, pare oramai chiaro, che si tratti di una vera e propria minaccia in puro stile mafioso. Di quella mafia che solo i democratici ne fanno ottimo utilizzo. Perché non è solo un fatto di una gravità inaudita ma qualcosa di più; una premessa per future azioni ancora più pesanti e censorie.

Ed ecco perché faccio fatica a comprendere le ragioni dei soliti avvocati difensori che portano a sostegno delle “attenuanti generiche” e difendono tali censure perché frutto di scelte autonome fatte di piattaforme private. Ma qui, cari miei azzeccagarbugli, la questione è diversa. Questi non sono solo strumenti che ci permettono di scambiare informazioni o alimentare un dozzinale gossip, parlare di calcio o di cinema. I proprietari delle suddette multinazionali entrano a gamba tesa un giorno sì e l’altro pure nel dibattito politico, indirizzando lungo un percorso abbastanza noto e definito, la discussione sulla bioetica, sui flussi migratori, sulle politiche economiche, sulla politica estera di taluni Stati, sulle sovranità nazionali, e così via. E se Zuckerberg e compagni sono fortemente e legittimamente attivi nel dibattito pubblico delineando una propria strategia ideale e di valori, possiamo altresì ritenere che le loro creature social non possano più essere identificate come ‘’luogo terzo’’, ma come piattaforme in cui non si possa esondare da una cornice generale ben delineata e circoscritta.

 

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