Emilia… rossa dalla vergogna
Poche certezze pervadono la nostra malandata penisola e sono così potenti, strutturate e messe bene in salute quanto l’antifascismo in servizio permanente effettivo in assenza di fascismo. Un puro sciocchezzaio che, periodicamente, e in maniera ossessiva, si ripresenta con il seguito di guitti e strombazzatori di vacua retorica.
Ridondante, pomposo, moralistico, radicato ad un ineluttabile manicheismo di cui si fa mostra e vanto attraverso una boriosa alterigia che, in concreto, non avrebbe più nulla da dire a noi abitatori del terzo millennio e che, invece, viene artatamente alimentato e reso ad ogni passaggio sempre più volgare e dozzinale da risultare stucchevole oltre ogni misura.
Ma questo è! Dramma – o meglio – commedia dell’arte di un Paese che non ha mai voluto sciogliere i suoi nodi di fondo e, di conseguenza, fare i conti con la propria Storia; anche perché, su quei nodi, aveva validato e legittimato la sua fondazione.
Pervasi ad ogni livello da questa sciocca guerra civile che, solo a tratti sembra diradarsi per poi emergere in tutta la sua virulenza in fatti anche ordinari, ed avvinti da un’ossessiva politicizzazione, un moralismo d’accatto e infine pure da una fastidiosa (e falsa) epica nazionale.
Un clima generale che si ritempra ciclicamente grazie a scempiaggini lessicali, storiografiche, politologiche e sociali di cui – ahimè – dovevamo coglierne le prime avvisaglie quando, molti decenni addietro, la mole enorme di studi fatta da Renzo De Felice venne classificata come cartaccia negazionista ed espulsa financo dai consessi accademici.
Eppure si continua imperterriti! L’Emilia Romagna, regione rossa… ma per la vergogna, si è segnalata negli ultimi tempi per un esacerbato delirio buonista di cui si sono fatti portatori soprattutto i rappresentanti istituzionali locali.
Pizzarotti, sindaco di Parma, è stato solo uno degli epigoni più noti di un fenomeno che è insieme mediatico e politico ma sempre alimentato a dovere da paccottiglia ideologica moraleggiante. Il lettore ricorderà il suo imporre a mo’ di editto sovietico una «dichiarazione di antifascismo» per ogni cittadino che avesse fatto richiesta anche di un passo carrai davanti casa propria. Si parlò anche di proporre un procedimento simile per chi – indigente – avesse fatto richiesta di buoni spesa. Per fortuna, il clamore mediatico fece cambiare idea alla sua amministrazione e ritornarono, almeno su questo punto, a più miti consigli.
Bene, anzi male! Pare che tale situazione abbia provocato una coazione a ripetere in tutta la regione. Per esempio, il 27 agosto di quest’anno, nella sala del Consiglio comunale di Collecchio, è stato organizzato dall’associazione Pensiero e Tradizione un incontro aperto al pubblico (ovviamente all’insegna del rispetto delle restrizioni sanitarie) per presentare La Russia di Putin, libro di Mara Morini.
Nel giro di poco tempo, è stata formulata un’interrogazione al Sindaco, in cui veniva condannata la sua scelta di concedere l’uso della sala consiliare. Nei giorni e nelle settimane successive tutta una serie di rimostranze e un batti e ribatti tra opposizione e maggioranza che pare sia culminata in una delibera che subordinerebbe il rilascio della sala del consiglio, della concessione di contributi per enti, associazioni o cittadini privati e dell’utilizzo di suolo pubblico ad una «dichiarazione di antifascismo».
Quanto e se sia caduta veramente in questo errore l’amministrazione di Collecchio, lo si saprà nei prossimi giorni. Di sicuro, dietro la patente di antifascismo e con l’aureola di difensori della libertà e della democrazia si sta velando su tutto il territorio nazionale un plumbeo futuro liberticida.
Un futuro fermo al 1945!