Il delirio degli indecenti
Sovvertire la consuetudine di passare dalla «morale del Bene» alla «moralizzazione della società» senza alcuna forma di resistenza attiva è l’abisso in cui rischia di sprofondare il nostro tempo ma anche l’assillo degli ultimi libri di Emanuele Ricucci nella sua donchisciottesca ma condivisibile battaglia contro i «mostri dell’impazzimento odierno» e per la rifondazione dell’uomo.
Nozioni necessarie per tirarsi fuori dalle secche del conformismo di massa, dai condizionamenti psicologici e dagli ammaestramenti del pensiero unico come esplicitamente confessa nel suo ultimo libro (Indecenti, Passaggio al bosco, p.195) dove apre la caccia a questo grande assente della contemporaneità. Caccia necessaria ma pericolosa perché se male interpretata può richiamare il fanatismo dell’uomo nuovo che tante tragedie partorì nel novecento. Al traguardo, però, non si arriverebbe grazie a imposizioni o sotterfugi ideologici come elementi forzati di cambiamento e senza aver contezza di ciò che si intenda produrre nell’ordinarietà del quotidiano. La rifondazione – scrive infatti Ricucci – è «coltivazione casalinga»; autodafé che si assume l’obbligo di non restare impigliato in una memoria che degradi in nostalgia, o in una frustrazione utile solo a far disperdere la residua forza ribellistica nella elencazione dei mali. Ma che, soprattutto, salti i due avamposti del finto ribellismo contemporaneo con annesse polarizzazioni: l’adesione alla politica militante intesa come consonanza assoluta alle beghe partitiche e l’indignazione riversata dalla tastiera del computer – tramite social network – che raramente trova agibilità sociale e pratica concreta nel gioco collettivo.
Se il nostro tempo sembra affacciarsi sull’abisso, va allora scomposta questa rabbia improduttiva e sconclusionata attraverso la riconsiderazione del culto della libertà che feconda la storia. E perciò bisogna provare a tirarsi fuori dal grigio della mediocrità e dai precetti del politicamente corretto senza darsi l’alibi dell’illusione alla partecipazione globale che l’ordine del discorso vorrebbe surrogare con qualche parziale e saltuaria “stecca nel coro”. Non una negazione della battaglia politica o un ritrarsi dal gioco pubblico della comunicazione internettiana, ma un tragitto di ricerca che si perfezioni innanzitutto in una inarrestabile evoluzione personale, e quindi: «non un ritorno all’antico e nemmeno una riproposizione di antichi scenari dettati dai partiti di massa… ma la ricerca della consapevolezza, della coscienza attiva che rende agevole la complessità e complesso il superficiale. La coltivazione non è isolarsi pessimisticamente ma rinvigorire la profondità della vita».
Una battaglia complicata nelle forme e nelle tattiche di ingaggio perché la condizione generale degrada oramai sempre più verso il basso e respinge ogni forma di autonomia. E infatti Ricucci introduce la nozione di uomo-folla come peggioramento dell’uomo-massa di cui Ortega y Gasset ne perimetrò quasi un secolo fa i contorni. Ulteriore imbruttimento rispetto a ciò che già allora pareva decadente e che, adesso, definiamo postmoderno, liquido, che non si deprime ma addirittura si esalta nella mediocrità, che si dedica alla «pornografia delle emozioni, al consumo di massa, al superamento di ogni limite e alla tirannia dei diritti per tutti», che non cerca più nemmeno una giustificazione ai moniti moralistici che vengono calati dall’alto e che si abbandona con naturalezza a precetti che annientano le identità personali e le scelte di vita. E invece, in un contesto del genere servirebbe «la volontà di edificare l’uomo sovrano di se stesso, l’indecente che non si accodi alla rasserenante decenza dell’imposizione e combatta l’autoannullamento in atto. Non una teoria, ma pratica».
C’è infine una postilla che Ricucci tenta di portare all’attenzione del lettore: l’esposizione del mondo conservatore rispetto a questi temi sui quali ostenterebbe quotidianamente un rapporto di contrapposizione netta rischia di trattenersi pericolosamente su una lama tagliente. Se da un lato, rischia infatti di musealizzare il pensiero critico e renderlo asettico rispetto ad ogni pur flebile mossa movimentistica, dall’altro, può avere la tentazione di ridurlo a moneta di scambio per prolungati compromessi politici al ribasso. Dunque, ancora una volta, la strada primariamente indicata sarebbe la rigenerazione del singolo individuo, capace di contaminare l’ordinario con l’indecenza della scorrettezza politica.
Non è dato sapere se la rivoluzione tecnologica e i condizionamenti dei mass-media continueranno nel tempo ad essere sempre più corposi e consentiranno tutto ciò, oppure potranno indirizzare la battaglia verso la sconfitta. Ma, in fondo, come ribadisce Ricucci, non bisogna essere fuori dal tempo ma decidere come starci dentro.