Oggi vi parlo di un incontro che ho fatto in ospedale. Ho conosciuto una dottoressa, oncologa e senologa, che si è ammalata di tumore al seno. Da piccola credevo che certe professioni ti regalassero un’immunità speciale. Osservavo il mio papà che ascoltava il telegiornale, preoccupato per i sequestri delle brigate rosse e mi sembrava assurdo che il giornalista, nel riportare la notizia, si dimostrasse imperturbabile. L’avrei voluto più coinvolto, come il mio papà…

 Perché vi dico questo? A volte i medici ci sembrano distaccati, li vediamo sfilare per i corridoi con i camici aperti come se fossero sul red carpet.  Sul fronte opposto ci sono i pazienti, fragili per il solo fatto di attendere un colloquio, una diagnosi, un sorriso. L’apparenza inganna, certo. E la professionalità dello specialista non si misura con la simpatia. Quando però un medico si ammala – combinazione dello stesso male che ha curato per una vita – scatta qualcosa. Non sappiamo se diventerà più bravo nel suo lavoro, sappiamo però che da quel momento in poi sarà come noi, ci sarà più vicino, in un certo senso sarà anche più fragile…

 Ho conosciuto C.M. alla macchinetta del caffè. Reparto chirurgia plastica dell’ospedale. Lei aveva i capelli cortissimi, non più lunghi di mezzo centimetro. Sfoggiava quella capigliatura inconfondibile di chi è passato fra le grinfie della chemio strong. Ci ha presentate il chirurgo, mio e suo. “è una mia collega-paziente” . Cinquantenne, oncologa-senologa, reduce da carcinoma alla mammella bilaterale, ossia a entrambi i seni.

  Per più di metà della sua vita C.M. ha visitato donne, ha diagnosticato tumori, ha divulgato i sani principi della prevenzione. Ha confortato le sue pazienti, le ha consigliate. Qualcuna l’ha vista perdere la sua battaglia e morire, qualche altra, la maggioranza, esserle riconoscente per la vita.

 Ora C. è dall’altra parte della barricata. “Sono precipitata nell’abisso in una manciata di ore. Ero su una cima molto alta, stavo benissimo. Appena rientrata da una vacanza sul mar Rosso con marito, figlia e amici. Sentivo un fastidio al seno, mi sono fatta fare un’ecografia da una collega: sotto l’infiammazione – che peraltro avevo avuto altre volte e non è né effetto nè causa del cancro – c’era un carcinoma. Idem dall’altra parte, il tumore era ben nascosto nelle pieghe del mio seno fibrotico…

 Devo riconoscere che rispetto a una donna qualsiasi sono stata favorita, ho avuto gli esiti degli esami in giornata. Una collega ha interpretato l’ecografia sospetta, una seconda mi ha fatto l’ago aspirato (ovvero una biopsia), l’anatomo-patologo mi ha comunicato il risultato-batosta a tempo record….Qual è stato il mio primo pensiero? Ora- come- faccio- a- dirlo, (al marito, alla figlia ventenne, alla mamma ottantenne). Un’altra riflessione che mi ha tormentato è stata: ma quando è nato sto’ maledetto cancro, in copia, per giunta, e senza darmi segnali?

 I miei colleghi erano divisi nel consigliarmi la chemioterapia. Avevamo fatto le simulazioni sul web messe in rete dal centro oncologico americano MD Anderson (è un sito per specialisti, vi si accede con password)

Sono ben fatte, si inseriscono le informazioni sul tipo di tumore e si ottengono i fattori prognostici. Senza chemio avrei avuto l’83% di possibilità di sopravvivenza a 5 anni, con la chemio la percentuale saliva al 93%… non ho avuto dubbi, ho scelto la chemio. Ed eccomi qua, non sono passati neanche sei mesi, sto accusando ora il contraccolpo, o forse no, non ancora…

I momenti peggiori? Tutti e nessuno, dovevo-volevo essere forte, per non far sbandare gli altri ma ogni tanto sentivo qualche smottamento dentro. Sono sempre stata bene, nonostante la chemio e questo ha aiutato me e chi mi stava intorno. Non  ho mai voluto portare la parrucca, era inverno e indossavo il cappello.  Ma quando mi guardavo allo specchio sentivo una fitta salire dallo stomaco, la mia testa pelata mi ricordava la malattia.

 Però, prima di ritrovarmi del tutto senza chioma, sono riuscita a presentare la mia relazione al Congresso Nazionale di Cure Palliative, a Roma. Devo ammettere che lavorare mi ha fatto bene, mi garantiva parentesi di normalità.

 Ora ho ripreso con l’ ospedale ma – per il momento – non voglio occuparmi di senologia. Sarei rovinosa, un condensato di ansia sotto il camice. Già in momenti normali sentivo la difficoltà di comunicare i sospetti alle donne, mi chiedevo quanto fosse giusto instillare in loro i dubbi prima di avere i risultati. Ora so che non farei il loro bene: è importante che prima ritrovi un mio equilibrio. Tornerò dalle mie pazienti quando sarò più forte. E a quel punto la mia esperienza servirà anche a loro”.

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