Il genoma è quasi completo ma il cancro abita fuori
L’Ansa di oggi titola: “Si stringe il cerchio attorno al cancro, pronta la mappa genetica”. L’agenzia rivela che si è arrivati a comporre la mappa che comprende un gran numero di “anomalie” genetiche legate ai tumori di seno, ovaie e prostata. E che questi risultati, pubblicati in 14 articoli sulla rivista Nature Genetics, portano a “stringere il cerchio intorno alle cause genetiche responsabili del cancro”.
Le ricerche sono il frutto di una vasta iniziativa internazionale chiamata Cogs (Collaborative Oncological Gene-environment Study), che ha coinvolto numerosi centri di ricerca di tutto il mondo, molti dei quali italiani, Istituto Nazionale Tumori di Milano, Ifom (Fondazione Istituto Firc di Oncologia Molecolare), Istituto Europeo di Oncologia (Ieo), Istituto Oncologico Veneto, università Sapienza di Roma.
Grazie a questi risultati, dicono i ricercatori, potranno essere messi a punto nuovi e più precisi metodi di diagnosi precoce per le persone a rischio, insieme a strumenti più efficaci per combattere queste forme di tumore. La ricerca si è basata sull’analisi del Dna di oltre 100mila persone colpite dal cancro e i dati sono stati confrontati con altrettanti campioni prelevati da persone sane.
Con questo lungo lavoro di confronto sono state identificate oltre 70 nuove varianti genetiche che aumentano il rischio di cancro a seno, prostata e ovaie, che nel mondo colpiscono oltre 2,5 milioni di persone l’anno.
Sull’argomento avevo intervistato poco tempo fa Pier Giuseppe Pelicci, specialista in biologia molecolare e direttore del dipartimento di Oncologia sperimentale allo Ieo. Pelicci è certo che la conoscenza del genoma, ossia la mappa dei geni coinvolti nei tumori, sia la strada da percorrere “perché tutti i tumori dipendono da un’alterazione del Dna e questo ci permetterà di costruire farmaci su misura per correggere i geni mutati”. Grazie alle nuove tecnologie in tutto il mondo, gli sforzi sono in questa direzione.
Se non che – ha ammesso Pelicci –è venuto fuori “che i tumori presentano migliaia di alterazioni” (diversità da persona a persona, non solo da cancro a cancro), un ginepraio, insomma, che ha stupito i ricercatori per primi. Quindi, per tornare alla notizia divulgata dall’Ansa, è utile considerare che una settantina sono solo le alterazioni più ricorrenti. E che parlare di settanta su migliaia è come concentrarsi su una goccia in un oceano. Tant’è. La ricerca così sta procedendo, mette a punto una molecola che inibisce la proteina o l’enzima del gene alterato per “spegnere” l’azione di questo gene.
Quanti sono i tumori di cui si conosce l’alterazione genetica per i quali esiste già il farmaco “su misura”?
“C’è un tipo di melanoma, quello metastatico che esprime l’oncogene alterato BRAF per il quale sono stati trovati farmaci ad hoc – risponde Pelicci – e ci sono alcune leucemie e linfomi. La più curabile di tutte è la leucemia promielocitica acuta nella quale sono coinvolti i geni PML e RAR che rispondono bene al trattamento con acido retinoico”.
Avevo contattato Pier Giuseppe Pelicci perché sapevo che nel 1998 – subito dopo la bocciatura della sperimentazione del metodo Di Bella – era stato premiato con l’onorificenza Guido Venosta proprio per aver scoperto che la leucemia acuta promielocitica guarisce con l’acido retinoico. Lui ha preso il premio perché ha trovato i geni alterati in questo tipo di leucemia ma, Luigi Di Bella (senza sapere della presenza dei geni alterati) curava mezzo secolo prima i malati di leucemia, di linfomi e di tumori solidi anche con acido retinoico (componente del suo metodo).
A seguire questa logica bisogna dire che Luigi Di Bella è stato il primo ad applicare la terapia genetica del cancro.
Andiamo avanti. L’intervista con Pelicci, purtroppo, è troncata bruscamente quando ho voluto conoscere le sorti del fenretinide (derivato sintetico dell’acido retinoico), impiegato in via sperimentale allo Ieo in donne con tumori al seno con alterazione genetica Brca1 e 2. Ne abbiamo già parlato sul blog in: Ecco il farmaco nascosto.
Visto il ruolo di Pelicci (direttore dell’Oncologia sperimentale allo Ieo) pensavo potesse arrivarmi una risposta soddisfacente. Invece, prima di appendere la cornetta, ha detto: “Non so perché non hanno deciso di andare avanti con fenretinide”.