Tornerà a scuola Nicola, il bambino di Bedizzole in provincia di Brescia di cui abbiamo parlato ieri sera. Qui.

L’espulsione è stata ritirata con una comunicazione scritta arrivata poche ore fa alla famiglia: “A seguito della documentazione pervenuta in data 25 maggio in cui risulta essere stato fissato appuntamento l’11-6-18 presso il poliambulatorio di Desenzano del Garda…il dirigente scolastico dispone la riammissione dell’alunno…”.

Così Nicola lunedì tornerà a giocare con i suoi compagni alla materna “Ciari” e mercoledì prossimo parteciperà alla festa di fine anno, con la consegna dei diplomi, i cappellini e tanta emozione nel cuore.

Un lieto fine, dunque.

Ci resta l’amarezza per gli altri bambini espulsi (non si sa quanti siano), in ogni regione d’Italia. Via dai banchi per “colpa” di un certificato vaccinale incompleto e per provvedimenti di dirigenti scolastici che si sono “appellati alla legge” senza mai averla letta. 

Infatti, il testo sugli obblighi vaccinali 119/17 non prevede espulsioni quest’anno e parla di requisiti d’accesso al momento dell’iscrizione. Cliccate qui. E qui per leggere il parere dei giuristi.

Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà verità”. La frase, attribuita al gerarca nazista Goebbels rimanda all’unico periodo storico, prima di oggi, in cui si allontanarano i bambini e dalle scuole: il nazismo.

Ricordiamolo con le parole di Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento.

Tratto da “Fino a quando la mia stella brillerà“, 2015.

“Un giorno, dopo che ero stata espulsa, la maestra Cesarina venne a casa a parlare con papà, glielo aveva chiesto lui. Io mi nascosti per ascoltare di nascosto. Ero sicura che la maestra avrebbe detto a papà che c’era stato un errore, che il giorno dopo sarei potuta tornare al mio banco, che quelle regole erano orribili e assurde, forse gli avrebbe anche detto che le mancavano e che mancavo a tutta la classe. Chissà quante amiche speravano di vedermi tornare in classe con loro, come prima delle leggi razziali…


Invece sentii l’appello accorato di papà che diceva che era un’ingiustizia tenermi lontana dalla scuola e che io ci soffrivo.
E poi ascoltai la maestra Cesarina che gli rispondeva: “Sì, ma scusi, io che cosa c’entro? Non compete mica a me decidere se Liliana può tornare oppure no. Non le ho fatte mica io le leggi”.
Ascoltavo. Quelle parole continuavano a ronzarmi in testa come un’ape fastidiosa. ‘Non le ho fatte mica io’. Be, sì certo, in effetti non le aveva fatte lei. Come darle torto? Però, che delusione provai in quel momento. Nella sua voce non c’era partecipazione, ne ero certa, non c’era un filo di dispiacere. Non disse nemmeno che le mancavano, non riferì niente sulle mie compagne, nessun saluto, nessun ricordo.


Ero scivolata via in silenzio e il mio banco vuoto non era una gran perdita: in fondo era questo che avevo appena sentito.
Lei non c’entrava, non era un problema suo.
Così la mia maestra si puliva la coscienza. Se ne lavava le mani.
Come se la mia espulsione da scuola non la riguardasse affatto.
Me ne andai prima di vederla uscire di casa. Lei non chiese di salutarmi.


In tutta questa storia delle leggi razziali e dei diritti che giorno dopo giorno ci toglievano come fossimo persone pericolose e da tenere lontane dagli altri cittadini, comincia a realizzare una cosa, e fu quello a sembrarmi veramente assurdo. Quello che accadeva a noi ebrei, avveniva nell’indifferenza generale.
Per tutti era come se niente fosse.
L’indifferenza fa male. È l’arma peggiore. La più potente.
Perché se qualcuno ti affronta e ti vuole fare del male, puoi difenderti.
Ma se intorno a te c’è il silenzio, come fai a difenderti?”

 

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