La notizia è nota: il virus Sars-Cov-2 circolava tempo prima del suo “battesimo ufficiale”, nel dicembre 2019. Diversi studi, da tutto il mondo, ne hanno retrodatato la nascita di diversi mesi. La prova? Le tracce degli anticorpi rilevate nel sangue dei donatori o dei pazienti ricoverati. Ma fin qui, dicevamo, nulla di nuovo.

Oltrettutto è normale che una pandemia non divampi all’improvviso a partire dal giorno del presunto incendio ma che prenda corpo, sotto traccia, dando avvisaglie sporadiche. Ed è proprio così che è avvenuto. Ma non è tutto. Oltre agli anticorpi presenti nel sangue di alcuni pazienti fin dal 2019 (la rilevazione degli anticorpi nel sangue ha una scadenza), altri studi mostrano una reattività specifica al Sars-Cov-2 in campioni di sangue crioconservati di numerose persone, dal 2015 al 2018. Leggete lo studio di Grifoni et al. fino alle conclusioni (cit. dal libro “Covid 19. La catastrofe provocata dal virus che non c’è” di Fabio Franchi).

Com’è possibile che le cellule crioconservate dal 2015, analizzate in California, reagiscano al virus della Covid? Quante altre persone in tutto il mondo sono reattive al Sars-Cov-2? E cosa significa questa reattività ai fini della malattia e delle vaccinazioni? Maggior protezione o rischio di reazione autoimmune (ADE)?

Il virus retrodatato

Come potete vedere dalla pubblicazione di Stefano Petti, qui, gli studi che fanno supporre che il virus circolasse mesi prima del dicembre 2019 sono diversi e in tutto il mondo. Nel maggio 2019 sono stati trovati positivi in Inghilterra, nel novembre 2019 in Francia e in Brasile, nel dicembre 2019 in Italia e negli Usa (California, Oregon e Washington). E che dire del virus ritrovato nelle acque di scarico in Brasile, in Spagna e in Italia sin da novembre 2019? Quante persone dovevano avere già l’infezione perché il virus fosse presente negli impianti delle acque reflue di intere città?

Lo studio dell’Istituto dei tumori

Oggi raccontiamo l’assurda storia che ha riguardato – anzi, riguarda ancora – lo studio di cui si è parlato di più in Italia. Quello curato dall’Istituto dei Tumori di Milano pubblicato nel novembre 2020.

Reclutati 959 pazienti da tutte le regioni italiane per un’analisi retrospettiva dal settembre 2019 al marzo 2020. Nel sangue di 111 italiani sono stati trovati gli anticorpi neutralizzanti, presente almeno un positivo in 13 regioni. Cliccate qui.

Bocciato dall’OMS

L’articolo dell’Istituto milanese, dal marzo 2021, figura fra quelli per i quali è stata espressa una perplessità, la cosiddetta Expressions of concern. È prassi per le pubblicazioni passare attraverso le verifiche da parte di terzi. È il criterio che rende valida una tesi o, al contrario, stabilisce se siano necessari ulteriori approfondimenti. Ed è stata l’OMS a chiedere chiarimenti. A quel punto, a tempo record, sia l’editore della rivista, sia la Casa editrice hanno espresso le loro perplessità con un’altra Expressions of concern. E il lavoro è finito su Retraction Watch, il sito che pubblica le pubblicazioni ritenute false. Cliccate qui.

Insomma, nel giro di 24 ore l’articolo è stato bloccato e sbugiardato pubblicamente. 

In sintesi, le analisi svolte da OMS dicono che il lavoro dell’Istituto dei tumori non è valido: non è vero per l’Organizzazione Mondiale della Sanità che nei pazienti esaminati dal settembre 2019 vi sarebbero state tracce del virus. La seconda prova richiesta dall’Editore mostrerebbe, al contrario, la bontà dello studio, perciò nel novembre 2021 sia l’Editore sia la Casa editrice ritirano la loro Expression of concern.

Ma l’OMS insiste: la revisione non va bene e lo studio è fallace.

A questo punto, gli autori dell’Istituto milanese, convinti del loro operato, inviano i campioni a un terzo laboratorio in Olanda, gestito dall’ OMS, che conferma la validità delle analisi. Cliccate qui. Ma l’OMS è ancora reticente. La storia è raccontata da Reuters, qui.

Come se ne esce? Cercando di capire quale dei due metodi utilizzati (quello degli autori del lavoro da una parte e quello dell’OMS dall’altra) è più attendibile.

Si testano entrambi i metodi su campioni di persone malate di Covid ed emerge che il metodo usato dall’OMS non rileva la gran parte delle infezioni (reali) al contrario di quello usato dall’Istituto dei Tumori che appare precisissimo.

Tutto bene, dunque? Il lavoro dell’Istituto dei Tumori è assolto? In teoria sì ma in pratica compare ancora sul sito Retraction Watch, mai ritirato dal marzo 2021. Cliccate qui.

Perciò, ancora oggi, chiunque si metta alla ricerca di quel lavoro si convincerà che si tratta di una bufala.

Conclusioni

Il fatto che il virus circolasse già diversi mesi prima del dicembre 2019 è un dato di fatto. Non solo in Italia ma in mezzo mondo, perciò, guardando alla definizione data dall’OMS, era già pandemico. Tuttavia per i casi di polmoniti dell’ultimo quinquennio – che pure si presentavano numerose tutti gli inverni, specie nelle regioni del Nord Italia e che venivano classificate ‘di origine ignota’ – non ci fu nessun allarme paragonabile a quello vissuto dal gennaio 2020 ad oggi. Le polmoniti sono state curate come sempre, i casi gravi che hanno portato alla morte registrati come decessi da malattia respiratoria (che da diversi anni sono aumento rispetto alla media nelle regioni del Nord).

C’è ora da chiedersi come mai l’OMS stia dimostrando non voler riconoscere che il virus fosse già presente prima del 2020 al di fuori della Cina.

 

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