Docenti allontanati dalle classi, cosa c’è da imparare
Merita attenzione la questione dei docenti sospesi, rimasta a lungo nel silenzio. Già, non tutti sanno che quei maestri e quei professori allontanati dalle classi per non essersi vaccinati in gennaio, oggi sono presenti nelle scuole ma “tenuti nascosti” per punizione.
Cominciamo dall’inizio. Il 15 dicembre è entrato in vigore il decreto 172/2021 che ha introdotto l’obbligo di vaccinazione anti Covid per gli insegnanti, dall’asilo all’Università. E, per chi ha deciso di non ricevere le vaccinazione anti Covid, niente lavoro e stop allo stipendio, senza discussione. Nessuna trattativa è stata possibile, nè con i presidi (che si sono giustificati dicendo che fra i loro doveri c’è quello “far applicare le leggi”) e neppure con i sindacati.
Chiediamoci:
Si può pensare di lasciare senza stipendio una categoria di lavoratori?
Una punizione comminata dallo Stato può prevedere che dipendenti pubblici si riducano alla fame, visto che, in genere, si lavora per mantenersi? (Attenzione: non si nega il sostentamento ai detenuti, qualsiasi reato essi abbiano commesso).
Il fine – vaccinare tutti per proteggere i più deboli – giustifica i mezzi?
E come mai, quando si è scoperto che i vaccinati non proteggono gli altri, ma, semmai, trasmettono le infezioni come gli altri, non si è rivisto il decreto nè, tantomeno, la punizione?
Andiamo avanti. Il primo aprile, come effetto del decreto Riaperture, gli insegnanti sospesi sono tornati a scuola ma non a svolgere il proprio lavoro nelle classi (che continua a essere affidato ai supplenti). Hanno riottenuto lo stipendio per occuparsi d’altro, ad esempio lavori in biblioteca o vari progetti in stanze della scuola distanti e isolate da alunni e colleghi.
Nel frattempo, il 10 maggio, il giudice del lavoro di Treviso, Massimo Galli (omonimo del virologo), ha riconosciuto la legittimità del ricorso presentato da 34 docenti sospesi e difesi dall’avvocato milanese Mauro Sandri. In sintesi il giudice ha affermato che gli insegnanti sospesi dal 15 dicembre hanno diritto a ricevere un risarcimento (pari agli stipendi arretrati) perché il governo, con il decreto Riaperture, ha permesso agli insegnanti di rientrare a scuola il primo di aprile.
Secondo il giudice la giustificazione a elargire un risarcimento per gli stipendi bloccati deriva proprio dalle nuove norme del governo. Qui la sentenza. Inoltre, per l’avvocato Sandri, ci sono anche i presupposti per ulteriori risarcimenti di tipo morale.
Quanti sono gli insegnanti sospesi?
Poco meno dell’1% dei docenti delle scuole, e cioè all’incirca 8.000 dipendenti fra maestri e professori e quasi il 2% del personale Ata, ossia 4.000 bidelli (fonte aggiornata al 13 maggio, qui). Nulla si sa invece dei professori universitari e del personale che lavora negli atenei. Secondo l’ufficio stampa non si può risalire al dato “per motivi di privacy”. Tuttavia dobbiamo dedurre che lo Stato (Ministero delle Finanze) che si vede costretto a pagare due volte la stessa cattedra per mantenere fede a un provvedimento punitivo voluto dal governo, se ne sia accorto per forza.
Abbiamo intervistato due professoresse, una sospesa, la seconda in aspettativa non retribuita. Vi riporto stralci delle conversazioni.
E.T. insegna Storia dell’Arte e disegno in un istituto superiore in provincia di Brescia. Da dicembre a fine marzo è stata sospesa. “Ho scelto di non vaccinarmi per vari motivi. Mi ero ammalata nove mesi prima, ho avuto la polmonite e sono stata in ospedale, e poi ho svariate allergie, rischio shock anafilattici anche con farmaci da banco. Nel mio istituto siamo stati sospesi in 7 più un personale Ata, con il passare dei mesi siamo rimasti in due perché gli altri colleghi sono risultati positivi al Covid e hanno potuto riprendere a insegnare”.
Cosa ha detto ai suoi allievi?
”Prima di assentarmi ho spiegato le ragioni della mia sospensione, ho ricevuto manifestazioni d’affetto, ho capito che i ragazzi mi rispettano e, a dirla tutta, è questo il mio premio. In classe ragioniamo spesso esercitando il pensiero critico, abbiamo ricordato Lionello Venturi, il critico d’arte costretto a rinunciare alla cattedra per non essersi tesserato durante il regime fascista”.
E i colleghi?
“Alcuni sono piuttosto rigidi, durante i consigli di classe avevano espresso parole molto dure nei confronti delle famiglie che non hanno vaccinato i figli e considerano criminali le persone come me. Sì mi ha fatto male accorgermi che, proprio a scuola, dove dovrebbe prevalere una certa forma mentis, non si sia inclusivi con chi esprime un pensiero diverso”.
Cosa è successo quando è rientrata?
“Avevo a cuore i ragazzi, due mie classi faranno la maturità e avrei avuto piacere di seguirli (lo avrei fatto gratis), così, con il preside, abbiamo studiato il modo di poterlo fare rispettando il decreto. Di fatto sono in biblioteca, isolata. Ma mi collego online per spiegare la mia materia a chi vuole partecipare dalle 8 alle 9 (orario di inizio delle lezioni). Non è una procedura semplice, c’è bisogno che un altro insegnante sia fisicamente in classe con gli studenti. In aggiunta a questo ho ricordato ai ragazzi che all’aperto ci si può incontrare e così, ogni tanto, li vedo in giardino. Poi mi occupo dell’alfabetizzazione dei ragazzi stranieri”.
È vero che i primi giorni gli studenti non sapevano che fosse tornata?
“Sì, la cosa ha meravigliato anche me, ma nessun collega aveva parlato ai ragazzi”.
E che aveva timore di presentarsi in sala professori?
“All’inizio sì, poi mi sono fatta coraggio, non ho nulla di cui vergognarmi e sono entrata”.
Rispetto a quanto ci ha riferito – mesi fa un suo collega aveva spalancato la finestra come a dire ‘cambiamo aria entra una no vax – è cambiato ora l’atteggiamento?
“Sì, oggi è diverso. C’è più consapevolezza, molti colleghi vaccinati si sono ammalati e le posizioni si sono ammorbidite”.
Anna Maria Verna insegna spagnolo in una scuola media di Roma. È una degli otto docenti su tre plessi che ha scelto di non vaccinarsi ed è tornata a scuola ai primi di aprile, isolata nel laboratorio di Scienze, prima, e in un ambulatorio, poi. “Avrei dovuto svolgere un lavoro di catalogazione in biblioteca, su indicazione della preside, ma la biblioteca era già impegnata. Non mi sono vaccinata soprattutto perché, in coscienza, non ritengo moralmente accettabile assumere un farmaco che contiene cellule umane provenienti da feti abortiti volontariamente (Astrazeneca e Johnson&Johnson) o che è stato realizzato usando queste cellule in una fase di preparazione (Pfizer e Moderna).
Ho vissuto il mio rientro a scuola con molta emozione dopo tre mesi di isolamento, aperta ad un dialogo costruttivo con colleghi e genitori, con la segreta speranza che la mia presenza potesse suscitare in loro almeno curiosità”.
È riuscita nell’intento?
“Con un po’ di pudore iniziale e con molta semplicità ho raccontato a tutti la mia esperienza. Sono una persona riservata ma ho deciso che era arrivato il momento di metterci la faccia, con dolcezza ma anche con determinazione. Con un certo stupore mi sono accorta che molti colleghi non erano informati di nulla. Non erano al corrente nè dei miei mesi di assenza, nè della mia forzata lontananza dalle classi. Come se la vicenda che ha riguardato una minoranza degli insegnanti e una personale e legittima scelta – punita sicuramente in modo sproporzionato – dovesse restare nell’indifferenza. Invece ora, per fortuna, il confronto è stato aperto. Che gioia poter essere di nuovo me stessa! Il pressing incessante dei media contro i non vaccinati, quasi fossero i responsabili di tutti i mali del mondo, mi aveva messo addosso una cappa dalla quale io per prima ho faticato moltissimo a liberarmi. Anche se ognuno resta della sua idea, finalmente adesso almeno riesco a parlarne. È stato molto difficile per me consegnarmi a questo tipo di confronto perché c’era il pericolo di essere sbrigativamente etichettata come un’antiscientifica no vax.
Vorrei che i colleghi capissero che alcuni di noi sono stati giudicati inidonei a svolgere il proprio lavoro senza il pronunciamento di una commissione medica, inoltre sono state raddoppiate le ore di servizio passate da 18 a 36 andando, così, a toccare il contratto collettivo nazionale del lavoro senza che nessuno protestasse. Lo considero un precedente molto pericoloso che tutti devono avere chiaro in mente. Alcuni colleghi hanno capito che quello che è capitato a me oggi, domani potrebbe riguardare loro, magari per un altro motivo.
In realtà sta già cominciando ad accadere, perché alcuni colleghi sono stati male dopo la seconda o terza dose e non potranno più sottostare al ricatto, “se non ti vaccini, non lavori”. Insomma, se non facciamo qualcosa oggi, l’allontanamento in qualche ambulatorio o sgabuzzino potrebbe diventare una certezza per tutti…”
Poi però a maggio ha contratto il Covid ed è tornata a insegnare.
“Sì ma non sto seguendo le terze medie – quando si rientra dopo troppe assenze non si accompagnano le classi all’esame finale – quindi, se non ho sostituzioni, trascorro parecchio tempo in sala professori. Mi dispiace moltissimo non seguire i miei ragazzi fino alla fine ma considero queste ore un’opportunità in più perché favoriscono il dialogo con i colleghi. Per me è terapeutico tornare a parlare con loro dopo questa specie di apartheid subito e spero che aiuti anche loro a vedere le cose da un punto di vista diverso rispetto a quello monolitico passato attraverso i media. Ricordando sempre che il compito di un insegnante degno di questo nome è quello di perseguire incessantemente la ricerca del vero e del giusto nel confronto, nel rispetto e nell’imparzialità“.