Negli scorsi giorni ho visto la pellicola 300 che narra della vicenda dei valorosi guerrieri di Sparta, guidati dal loro re che risponde al nome di Leonida. Combattevano per la libertà, perché senza libertà non ci poteva essere futuro per il loro popolo, per le loro mogli, per i loro figli e per la loro Grecia. Combattevano contro un dittatore chiamato Serse che imponeva alle genti dell’Europa allora conosciuta, con l’ausilio della violenza, la sottomissione e l’inginocchiarsi al suo volere. Voleva conquistare le terre del mondo emerse rendendone ogni abitante schiavo, inoltre poteva contare su di un esercito mille volte più numeroso di quello degli spartani. Quest’ultimi sono partiti, guidati da Leonida, per affrontare il vile dittatore e le sue immense milizie in appena 300. 300 uomini pronti a tutto. Con coraggio, forza, determinazione e con la voglia di difendere la propria indipendenza, compresa quella dei propri cari, hanno affrontato a testa alta le mastodontiche forze armate nemiche. Gli spartani non si sono piegati, hanno inflitto pesanti perdite agli avversari per poi cadere valorosamente con lo sguardo rivolto verso il sole. Caduti per seguire il proprio condottiero, prostratosi al suolo solo per morire, come il rivoluzionario Filippo Corridoni deceduto durante la Prima Guerra Mondiale cimentandosi sempre oltre ogni limite, capace di morire in “un assalto, ma se potrò cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora”. Come Enrico Toti, eroe del primo conflitto su scala globale, invalido che scaglio la sua stampella contro le forze ostili all’Italia nell’atto di perire. Uomini morti solo nel fisico non nello spirito del loro esempio. E allora le parole di Leonida, interpretato su cellulosa da Gerard Butler, devono rimanere scolpite nella mente di ognuno di noi: “Il mondo saprà che degli uomini liberi si sono opposti ad un tiranno, che pochi si sono opposti a molti e, prima che questa battaglia sia finita, che persino un dio-re può sanguinare”. Marciando ancora, sempre più lontano per dimostrarsi uomini. Al grido di “A-UH!, A-UH!, A-UH!”, perché essere guerrieri deve diventare un’attitudine, uno spirito capace di spronarci davanti ad una vita comoda che ci atrofizza. Pronti a lanciarci nella nostra santa guerra contro il Moloch, chiamato Stato, che uccide ogni sogno di rivalsa, ogni sogno di vittoria.
Noi italiani dobbiamo pensare a questo racconto, trasportarlo ai giorni nostri, paragonando il perfido dittatore Serse alle braccia della burocrazia parlamentare di questa nazione che vuole schiacciarci come popolo, ucciderci come individui. Il coraggio che serve in questi anni è lo stesso coraggio messo in campo dagli spartani, perché per conquistare la libertà bisogna sudare, mettersi in gioco, non avere paura di nulla. Tornare autonomi, consapevoli che non esiste nulla di più bello che poter decidere delle proprie sorti, che segnare il proprio destino. La schiavitù, voluta da questi politicanti inetti, dovrà cadere, cadere sotto i colpi della nostra volontà. Ancora un film può guidarci alla ribalta. Il titolo è Ogni maledetta domenica ed il protagonista Al Pacino. L’attore statunitense interpreta il ruolo di un allenatore di football americano, duro e scorbutico, ma capace di accarezzare le coscienze per elevarle. In un discorso che diventa memorabile, per la storia del cinema, ci sprona a non chinare la testa: “In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro. Ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa. In ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro”. Dobbiamo guardarci l’un l’altro, spingerci a conquistare ogni spazio a noi concesso e riprenderci quelli che ci sono stati negati a priori. Una storia millenaria non può morire nell’anonimato. Chi pensa di arrendersi è un disertore nella battaglia per riconquistare un paese in mano ai giullari di corte dell’Unione Europea.
Ogni volta che vedo qualche mio compatriota suicidarsi, perché ha perso il lavoro, provo un sentimento di rabbia verso questo Stato, unico mandante di queste tragedie. Ogni volta che vedo imprenditori, dopo anni e anni di sacrifici e rinunce, chiudere le serrande e licenziare i propri dipendenti per merito di questo Stato, che impone tasse a livelli vessatori, provo altrettanta rabbia verso questo sistema canaglia che, al posto che aiutare a risollevare gli imprenditori e le aziende in crisi, gli dà il colpo di grazia senza alcuna pietà. Ogni volta che vedo un anziano rovistare nei cassoni dell’immondizia fuori dai centri commerciali, laddove c’è merce buttata via ed avariata, e lo scorgo raccogliere qualcosa per poter mangiare, piango e continuo sempre di più ad odiare questo Stato che permette che un italiano, dopo anni e anni di lavoro, possa vivere in queste condizioni. Ogni volta che vedo giovani capaci e volenterosi scavalcati da coetanei incapaci, ma amici degli amici, andare avanti senza merito ed i volenterosi, per contro, costretti ad emigrare per avere successo, continuo sempre di più ad odiare questo Stato e questa classe politica che permette che i migliori debbano scappare dall’Italia per essere valorizzati. Ogni volta che vedo i veri servitori dello Stato, le Forze dell’ordine, lavorare percependo uno stipendio da fame e finendo maltrattate e insultate perché, con grande spirito di abnegazione, sono costrette a proteggere un governo a loro nemico, continuo a provare sempre più odio verso questo Stato che, al posto che tutelare i suoi veri servitori, li umilia e li maltratta. Quando vedo tutto questo e tanto altro soffro e verso lacrime amare, lacrime di rabbia perché ho la piena consapevolezza che dobbiamo incarnare la via intrapresa dai 300 di Sparta. Il destino può essere già segnato, ma se è contro di noi peggio per lui perché noi dovremmo avere il coraggio di affrontarlo con coraggio. Vogliamo uomini con la schiena dritta come il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, capaci di capitanarci fuori dalle sabbie mobili. L’altra volta vi ho chiesto di guardavi allo specchio, questa volta guardatevi alle spalle. Pensate a chi ha calcato le arterie di questa Italia nel passato. Ai nostri padri, ai nostri nonni, ai nostri antenati, uomini capaci, uomini che sono stati in grado di indicarci la strada da intraprendere. Ora abbiamo perso la rotta, ma possiamo tornare da dove veniamo, costruire un cammino lastricato di gloria. Essere 300, pochi contro tanti, ma che importanza ha? Che cosa importa quando il cuore è puro e la lotta giusta? Nulla, perché un giorno dovremo guardare negli occhi i nostri figli e donargli un paese migliore senza vergognarci difronte al loro sguardo perché consapevoli di non aver fatto nulla per garantirgli un futuro migliore a casa loro. Questa missione sarà la ricompensa di ogni sacrificio. Curiamo ed alimentiamo il Re Leonida insito dentro ognuno di noi, sfamiamolo ed induciamolo a ribellarsi, sarà la grandezza di essere italiani a fare il resto. Liberi, belli, ribelli. Un vento che non ha smesso di soffiare, ci scompiglia i sentimenti e ci renderà immortali come gli spartani alle Termopili. Nell’Olimpo della gloria dove i grandi regnano e sputano in faccia alla miseria dei potenti che ci affamano. W l’Italia e W gli italiani, tutti insieme uniti c’è la faremo e riprenderci la nostra dignità e la sovranità che spetta al nostro popolo. www.ilgiornale.it