L’Italia che non vorremmo
Fiorello, durante una delle serate sanremesi, ha fatto uno sketch comico basato sulla dittatura del politicamente corretto, esordendo con l’ormai abusata frase “per colpa del politicamente corretto non si può dire nulla”. Sono tanti, troppi i casi che riempiono i giornali e i social. Dopo aver passato settimane ad analizzare parola per parola il discorso pronunciato dai comici Pio e Amedeo su Canale 5, adesso tocca persino al principe di Biancaneve. Il bacio che salva la vita alla principessa, avvelenata dalla strega cattiva, non sarebbe infatti consensuale.
William Shakespeare direbbe «molto rumore per nulla». Il moralismo sta mortificando la libertà d’espressione. Il regista Carlo Verdone lo ha definito «una patologia», mentre Giorgia Meloni ha definito la civiltà del politicamente corretto «i nuovi talebani».
Il politicamente corretto sacrifica il libero pensiero per uniformarlo all’eccessiva sensibilità verso il venere, la razza e l’orientamento sessuale. Sono infatti questi i più grandi nemici da “sconfiggere”. Qualsiasi riferimento a caratteristiche o discendenze razziali, etniche, linguistiche, anche se non espresso in un contesto negativo, viene così considerato una forma di razzismo perché, secondo l’accusa, si rendono esterni, visibili o apparenti, taluni aspetti dell’identità di un soggetto, col risultato di creare o rafforzare stereotipi discriminatori. Il risultato è che siamo diventati tutti razzisti e che per una parola sbagliata si può essere “cancellati” da una società che si erge a giudice. Ancora più ironico, quelli che puntano il dito e declamano la sentenza finiscono per essere a loro volta giudicati per qualche pensiero passato, pubblicato senza pensarci troppo sui social. Quando piace ad una certa parte politica usare l’arma del politicamente corretto finché non sono loro a trovarsi sul banco degli imputati.
Il politicamente corretto è stato definito, in maniera a dir poco azzeccata, un sistema “eliocentrico”. Tutto ruota attorno al sole dei diritti umani visti non come una nozione in continua evoluzione, ma in una dimensione simil-teologica. I diritti umani sono un assoluto: non solo non possono essere ridotti e possono solo espandersi, ma sono anche usati come metro per giudicare il passato. Come possiamo oggi giudicare un film per bambini uscito nel 1938? Il politicamente corretto spesso finisce in un cortocircuito di stupidità.
La giornalista Nesrine Malik nel libro We need new storiesscrive: «Lo scopo di questo mito è di minare ogni sforzo di cambiamento, presentandolo come un sabotaggio, un attacco a una società che è fondamentalmente sana e non ha bisogno di essere riformata». Vi immaginate un mondo in cui la società resta immobile, la creatività viene azzerata, tutto in nome di un ideale ridicolo? Il politicamente corretto vuole farci sentire tutti vittime. Schiavi della nostra storia, del nostro passato, come se questo non ci abbia aiutato ad arrivare a dove siamo oggi.
Durante le proteste per Black Lives Matter è stata persino avanzata la proposta di cambiare le regole degli scacchi, perché dare la prima mossa alla pedina bianca sarebbe razzista. Dove siamo arrivati! Cosa è successo al mondo? Siamo davvero così ossessionati dal nostro ego, da trasformare qualsiasi accadimento in un affronto personale? Come ha scritto il giornalista Pierluigi Battista nell’articolo “E ora quale sarà la prossima censura?”, «prima dell’epidemia di stupidità, se ci avessero detto che per vincere gli Oscar occorresse obbedire a grottesche norme sovietiche decretando così il trionfo dell’oscurantismo del politicamente corretto, avremmo detto: ma no, figurati, mica siamo così scemi». I registri si affannano per offrire qualche concessione «a un meccanismo arrogantemente stupido».
Ecco di che cosa si tratta, arrogante stupidità. Assolviamo i principi e torniamo a parlare di argomenti seri. Facciamo ripartire il Paese, investiamo sui giovani, aiutiamo chi ne ha più bisogno ed impariamo a rispettare le istituzioni. Biancaneve, sono certo, se la caverà anche da sola. www.IlGiornale.it