Questo articolo è scritto da un NON medico, un NON esperto, un NON no-vax, un NON minatore di informazioni sui vaccini. Praticamente, è solo l’opinione di un quaquaraquà.

Dopo questa premessa, ma scrutando “l’ufficio facce”, mi azzardo a dire che ci siamo: l’agonia è quasi finita. Quello che fu un uragano, si sta trasformando in temporale tropicale. Accade la stessa cosa a tutti i giganteschi mulinelli che nascono ad Agosto da qualche parte nei Caraibi, devastano il sud degli Stati Uniti, e poi salgono verso nord. Alla fine di ogni estate, sui media newyorkesi cresce l’ansia, ma nella Grande Mela gli uragani arrivano quasi sempre spompi: fulmini, vento forte, pioggia, e qualche tettoia scoperchiata.

Sembra quasi di immaginare il delicato passaggio di consegne dalla scienza alla politica. Il premier inglese Boris Johnson, nei primi drammatici mesi del 2020, cercò di forzare quel passaggio quando invocò troppo in anticipo sui tempi l’immunità di gregge.

Arriverà il giorno in cui sul nostro quotidiano di riferimento NON comparirà per la prima volta da molto tempo la parola “covid”. La “corona” tornerà ad essere solo femminile, e risiederà più stabile che mai sul capo della regina Elisabetta sempre più arzilla, e il povero Carlo sempre più esausto.

Il “rompete le righe” potrebbe arrivare prima di quando osiamo sperare. Subito dopo interverrà nella nostra memoria una specie di effetto Doppler, quello per cui la sirena di un’ambulanza in arrivo si sente molto più forte della stessa ambulanza che si allontana. E poi il ricordo diventerà presto passato remoto.

I virologi televisivi si trasformeranno in falene senza un cacchio di lampione, e sarà dura per loro rinunciare alla luce della ribalta. Sbandati e derelitti, cercheranno la fama perduta in improbabili Isole dei Famosi, dove verranno spernacchiati, anche perchè nessuno vorrà nemmeno lontanamente sentir più pronunciare la parola “vaccino”.

Gli oggetti superstiti di questo cupo periodo faranno capolino ancora per molti anni: nel 2098 una mascherina verrà trovata nella tasca di un vecchio paio di pantaloni appartenuti ad un lontano antenato. Nel 2119, sulla cronaca cittadina di un giornale nazionale, comparirà il necrologio di una tal “Pandemia Fornaciari, di anni 99”, figlia di una coppia di fantasiosi genitori emiliani. Il papà di Pandemia si chiamava Geiar Fornaciari, in onore del protagonista di Dallas. Il trisavolo era Liver Fornaciari, così battezzato per le scatolette di fegato dei soldati americani.

Ma ecco l’intero, fatale, trafiletto: «Si è spenta serenamente Pandemia Fornaciari, di anni 99. Ne dà il triste annuncio l’inconsolabile sorella Speranza».

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
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