All’inizio della guerra si diceva che fosse meglio evitare di chiudere Vladimir Putin in un angolo, come lui aveva fatto in gioventù con il topo che poi gli era saltato in testa. Ora a che punto siamo? Esattamente lì.

Il mare che si ritira con grande risucchio da una spiaggia indonesiana anticipa l’arrivo di uno tsunami; l’unica opzione in quel caso è mettersi in salvo su qualcosa di solido e rialzato, tipo una collina. Anche le truppe russe in Ucraina ora battono in ritirata, ma noi Occidentali siamo come fermi in spiaggia a scrutare l’orizzonte: arriva o non arriva l’onda anomala? Putin sgancia la bomba atomica oppure no?

La collina sta allo tsunami come la diplomazia sta al rischio di una guerra nucleare.

Un autorevole editorialista qualche giorno fa valutava il grado di consapevolezza dei vari Paesi europei nei confronti del pericolo russo, e riduceva la geopolitica a una sorta di fiaba dei tre porcellini. Britannici e Polacchi sono gli illuminati che hanno capito tutto fin dal principio. Gli altri Paesi a ovest/sud-ovest, invece, assomigliano al porcellino tonto che non ha mai veramente compreso con chi avesse a che fare.

La Nato che negli ultimi trent’anni si è allargata “pacificamente” verso est assomiglia al malintenzionato che si avvicina alla preda fischiettando. Il motivo melodico rende le sue intenzioni più pure?

Si dovesse un giorno fare l’autopsia all’Occidente, sarà curioso analizzare il contenuto della scatola cranica: decenni di pensiero positivo a senso unico dalla fine della guerra fredda in poi potrebbero aver trasformato geneticamente la nostra materia grigia in un pesce rosso.

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