Nel romanzo “Come il Mare” di Wilbur Smith, un rimorchiatore d’altura raccoglie l’SOS di un transatlantico arenato in Antartide. Il barometro in picchiata segnala che è in arrivo una tempesta che sfascerebbe la nave sugli scogli, con conseguenze tragiche per le persone a bordo. In condizioni atmosferiche proibitive, i soccorritori tappano una falla, attivano le pompe, e allacciano il cavo di traino, ma i tentativi per disincagliarla sono vani. Il capitano è quasi sul punto di abbandonarla al suo destino, ma decide di provare ancora a riavvolge il cavo. Con la visibilità ridotta a pochi metri, si accorge di aver perso minuti preziosi tirando alla cieca, obliquamente rispetto al relitto. Allineando il rimorchiatore all’assetto della nave, i ventidue mila cavalli riescono finalmente a smuovere il transatlantico ferito, e trainarlo in alto mare.

Ecco. Il tiro alla cieca del rimorchiatore mi ricorda il tifo alla cieca di molte persone nel mio ambiente sociale nei confronti di Israele, senza conoscerne il vero assetto demografico. Nel romanzo, la nave era celata dalla tempesta. Qui da noi, Israele è celato dietro schieramenti ideologici che impediscono di parlarne in maniera razionale.

Il nostro atteggiamento acritico sembra innescato da un senso di colpa mai veramente elaborato. Le pietre d’inciampo nelle nostre città sono lì a ricordare che la zona grigia, la rete di ipocrisia e complicità descritta da Primo Levi, non è esclusiva dei campi di concentramento: quando gli ebrei italiani venivano prelevati dalle loro case e condotti nei campi di sterminio nazisti, “noi” voltavamo lo sguardo dall’altra parte. Come è potuto accadere? La guerra e la dittatura fascista ci hanno permesso in seguito di trattare questo argomento in modalità “muro di gomma”: frasi vaghe, giustificazioni posticce. Talvolta pure e semplici falsità.

Sembra quasi che nel massacro in atto a Gaza, i figli e i nipoti dei nostri nonni e bisnonni si comportino come quegli arbitri scarsi che compensano una decisione sbagliata, con una decisione sbagliata in senso contrario: visto che sono stato indifferente verso di te, ora lo sarò nei confronti del tuo nemico. E’ un meccanismo perverso: per anni, i media hanno trattato la questione israeliano-palestinese in maniera distratta, e noi non abbiamo avuto tempo, nè voglia, di approfondire. In questo contesto, il 7 Ottobre 2023 è diventato l’anno zero, e tutto quello che è avvenuto prima, non esiste.

Nelle nostre coscienze, gli Israeliani sono Aschenaziti, quindi Europei. Laici. Civili. Cosmopoliti. Democratici come noi, in contrapposizione agli Arabi, che non sono mai stati in grado di produrre una democrazia; quindi, diversi da noi. Con Israele, scatta il nostro neurone a specchio automatico: quando compiono operazioni miracolose come quella di Entebbe, sono eroi. Quando commettono atrocità, come Sabra e Shatila, sono compagni che sbagliano.

Ma è davvero così? La demografia Israeliana è in rapida evoluzione. Gli ebrei Mizrahì, immigrati in Israele da Paesi mediorientali, sono diventati maggioranza, e nei loro luoghi d’origine non hanno mai conosciuto la democrazia. Da un’intervista a Laly Derai, giornalista e attivista con origini Mizrahì: «Per noi nativi dei paesi arabi, lo Stato di Israele non è stato creato a causa della Shoah, ma perché volevamo realizzare un sogno millenario».

Il bacino elettorale del governo Netanyahu attinge da una crescente fetta di popolazione che non crede ai valori democratici, come dimostra il tentativo la scorsa estate del governo in carica di neutralizzare la Corte Suprema. In un Paese privo di Costituzione e Camera Alta, eliminare la Corte Suprema significa mettere la democrazia in mordacchia.

Negli ultimi ottant’anni, noi occidentali illuminati abbiamo scatenato guerre sventolando la foglia di fico della democrazia da esportazione. Non è più così: quelle di Gaza non sono bombe “intelligenti” come quelle americane in Iraq, ma bombe ignoranti. Non fingono neppure di esportare pace e democrazia, ma solo ottusa sete di vendetta e desiderio di annientamento.

La mia è solo un’opinione come un’altra, e il dibattito è aperto.

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