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22Mag 24
Gavte la Nato
Il “tam tam” guerrafondaio sta diventando inquietante. E’ giusto scriverne e parlarne, ma anzichè sperare nella guerra totale, è possibile percorrere altre strade. Qui di seguito elenco solo tre dei molti “tam tam” delle ultime settimane.
1. Il 26 Febbraio, al vertice per l’Ucraina organizzato in fretta e furia a Parigi, il presidente Francese Macron annuncia che gli alleati faranno tutto quel che serve per impedire alla Russia di vincere contro l’Ucraina. Prima di quel vertice, il primo ministro Slovacco Robert Fico (che tre mesi più tardi avrebbe subito un grave attentato) dichiara: «Molti Stati membri della Nato e dell’Unione Europea stanno pensando di inviare i loro soldati sul territorio, e non posso neanche immaginarlo. Questa decisione provocherà un’enorme escalation della tensione, è una riunione di combattimento, vogliono solo che la strage continui».
2. Il 6 Aprile, Janan Ganesh scrive sul Financial Times: «La causa ultima della stagnazione è la pace. Oltre a essere la cosa peggiore commessa dalla nostra specie, la guerra è uno stimolo creativo. Diversi decenni senza un piano esistenziale potrebbero aver inaridito l’immaginazione occidentale (…) Torniamo indietro al periodo degli impressionisti. È il 1871, e la Francia ha perso la guerra contro la Prussia. A Parigi le persone mangiano gli animali dello zoo per sopravvivere. Quando i vincitori proclamano un nuovo stato unificato, la sede prescelta non è Berlino, ma Versailles (…) Considerato questo contesto, la questione non è come Claude Monet e i suoi amici siano riusciti ad emergere. È come avrebbero potuto essere fermati. L’ordine costituito fu screditato (…) Pennellate visibili, modelli non aristocratici: quando hai mangiato un elefante per cena, queste rotture con le convenzioni pittoriche sembrano meno scandalose (…) Sto scrivendo questo articolo su un MacBook che è più o meno lo stesso portatile che possedevo una generazione fa».
3. Il 4 Maggio, Mario Monti risponde così ad Aldo Cazzullo, che gli chiede come vede il futuro: «Davvero possiamo avanzare nell’integrazione europea, reggendo due guerre sulle nostre frontiere, senza sacrifici? L’Italia non si è fatta senza spargimenti di sangue: non sarebbe bastata la finezza di Cavour, è servito l’esercito piemontese, con i volontari, i garibaldini».
Ci manca solo più la reincarnazione di Gabriele D’Annunzio, che il 15 Maggio 1915 istigava il suo pubblico a uscire dal teatro Costanzi di Roma, e accoppare l’ex presidente del consiglio Giovanni Giolitti, contrario all’ingresso dell’Italia in guerra.
Proviamo a circoscrivere all’Europa l’analisi di questo “tam tam”. Se alla fine del secondo conflitto mondiale non ci fosse stata una discontinuità, noi rissosi Europei avremmo continuato a scannarci. La rottura con quel passato la dobbiamo agli Americani, che prima del piano Marshall imposero che gli Europei si coordinassero, e nell’Aprile 1948 nacque l’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (oggi Ocse).
Lucio Caracciolo ha recentemente sottolineato come l’egemonia americana abbia regalato a noi Europei decenni meravigliosi di pace e benessere, ma ora che quell’egemonia traballa, abbiamo perso il senso di noi stessi. Il Paese egemone è tale quando persegue i propri interessi che magicamente coincidono con gli interessi dei suoi satelliti. A giudicare dagli obiettivi perseguiti negli ultimi vent’anni dalla Nato in Europa, quell’equilibrio non esiste più.
Il 14 Giugno 2021, otto mesi prima del ritorno della guerra in Europa, nessun leader Europeo criticò la decisione di estendere l’alleanza militare anti-russa a un Paese (l’Ucraina) che significa “terra di confine”, al di là del quale ci sono migliaia di testate nucleari puntate contro di noi. Fu un vero e proprio blackout toponomastico, assurdo almeno come costruire una diga (Vajont) in una gola ai piedi di un monte che secoli fa gli indigeni avevano denominato Marcio (Toc). Impensabile.
L’alchimia in perenne movimento tra fattore umano, risorse, geografia, storia (e in questo caso anche un pizzico di toponomastica) si chiama geopolitica, una disciplina abbandonata dagli Europei alla fine della seconda guerra mondiale, a favore degli egemoni. La geopolitica è molto più veloce del movimento tettonico dei continenti, ma molto più lenta della politica occidentale contemporanea, volatile e umorale.
E’ questa differenza di velocità tra politica democratica e geopolitica che fa apparire i regimi totalitari più efficaci rispetto alle fragili classi politiche occidentali? E’ lecito dire tutto il male possibile di Vlad e Xi, tranne che non agiscano con tempi lenti e carichi di inerzia. I tempi geopolitici consentono di pianificare strategie. I tempi della nostra politica non più, a giudicare dal faccione di Zelensky proiettato in video gigante per tutto il 2022 nei parlamenti europei, luoghi dove dovrebbe regnare la razionalità, suggestionati da un ex comico che elegge l’Ucraina a ultimo caposaldo della democrazia.
La democrazia ucraina ricorda la vecchia barzelletta della donna incinta che sale sul tram: «Mi lasci il posto, che sono incinta». L’uomo si alza: «Mi scusi, non me n’ero accorto. Da quanto tempo aspetta?» …«Da un quarto d’ora».
Come ha detto lo storico Alessandro Barbero in una recente intervista (qui): «Il punto è capire perché fin dall’inizio i nostri Paesi abbiano deciso che quella causa è la nostra causa. Tra due avversari che si assomigliano come due gocce d’acqua, che parlano quasi la stessa lingua, che hanno una storia in comune e condivisa, e appartengono a quell’Europa orientale dove la cultura collettiva è diversa da quella occidentale, dove il passato conta molto di più. Perchè l’Occidente ha deciso, e ha voluto far credere alla nostra gente, che uno di quei due Paesi era come noi, e per questo dovevamo difenderlo senza chiederci le ragioni della guerra e dell’invasione? Questo è il nocciolo menzognero di tutta lo copertura mediatica che c’è stata di questa guerra (…) I paesi occidentali si racontano questa meravigliosa leggenda, secondo cui noi non invadiamo mai altri paesi sovrani: sono solo i paesi cattivi che fanno queste cose».
Ora bestemmio: la corrente stupida che ci sta conducendo alla guerra totale è stata provocata da una strategia occidentale sballata, non dall’aggressività di stati totalitari. La risposta non è andare come sonnambuli incontro alla guerra, ma modificare questo nostro malato modo di pensare e di agire, a cominciare dall’inquietudine del giornalista del Financial Times per la stagnazione provocata dalla pace, e il suo MacBook uguale a quello di vent’anni fa.
Questo ci porta direttamente al titolo del mio articolo. Umberto Eco, nel Pendolo di Foucault, descrive molto bene il significato della frase piemontese “gavte la nata” (pronuncia: Gaute Lanata), attraverso il linguaggio verbale e corporeo di Jacopo Belbo, il protagonista del romanzo:
«Con un gesto, con una sola interiezione, Belbo aveva il potere di collocarti altrove. Poniamo che tu ti affannassi a dimostrare che Kant aveva davvero compiuto la rivoluzione copernicana della filosofia moderna, e giocassi il tuo destino su quell’affermazione. Belbo, seduto davanti a te, poteva d’un tratto guardarsi le mani, o fissarsi il ginocchio, o socchiudere le palpebre abbozzando un sorriso etrusco, o restare qualche secondo a bocca aperta, con gli occhi al soffitto, e poi, con un leggero balbettio: “Eh, certo che quel Kant…” (…) Poi ti guardava con sollecitudine, come se tu, e non lui, avessi turbato l’incanto, e ti incoraggiava: “Ma dica, dica. Perché certo lì sotto c’è qualcosa che… L’uomo aveva dell’ingegno”. Talora, quand’era al colmo dell’indignazione, reagiva scompostamente. Siccome la sola cosa che lo indignasse era la scompostezza altrui, la sua scompostezza di ritorno era tutta interiore, e regionale. Stringeva le labbra, volgeva prima gli occhi al cielo, poi piegava lo sguardo, e la testa, a sinistra verso il basso, e diceva a mezza voce: “Ma gavte la nata.” A chi non conoscesse quell’espressione, spiegava: “Gavte la nata, levati il tappo. Si dice a chi sia enfiato di sé. Si suppone si regga in questa condizione posturalmente abnorme per la pressione di un tappo che porta infitto nel sedere. Se se lo toglie, pffffiiisch, ritorna a condizione umana».
Si è perso il significato esatto di “Gavte la Nato” (pronuncia: Gaute Lanato) ma è qualcosa di talmente simile che ci si potrebbe confondere.
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