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Negli ultimi giorni, gli occhi dei media occidentali erano tutti puntati sul fallimentare G7 di Ottawa, conclusosi con la rissa a distanza tra Donald Trump e il premier canadese Trudeau e il conseguente ritiro degli Stati Uniti dal comunicato congiunto finale. Allo stesso tempo, incredibilmente, quasi nulla è trapelato, se non sulle agenzie e gli organi di stampa specializzati, sulla quasi contemporanea riunione della SCO (Shanghai Cooperation Organization), tenutasi nel corso di questo fine settimana a Qingdao, in Cina, dove il clima è stato invece molto differente.

Una mancanza difficilmente comprensibile e che dimostra i preoccupanti sintomi di una decadente autoreferenzialità, dato che questa organizzazione, pur avendo un carattere marcatamente eurasiatico, include due potenze come la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, coprendo inoltre un quarto del PIL mondiale e metà della popolazione terrestre.

CHE COS’E’ LA SCO: COOPERAZIONE STRATEGICA ED ECONOMICA E LOTTA AL TERRORISMO

La SCO è un’organizzazione sovranazionale di cooperazione strategica (soprattutto in relazione alla sicurezza) ed economica, fondata nel 2001. Inizialmente includeva Cina, Russia, Kirghizistan, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan. Nel 2017 si sono uniti quali membri ufficiali anche l’India e il Pakistan. Oltre ai membri a pieno titolo vi sono poi gli observer states, cioè nazioni non ancora entrate a far parte della SCO ma che con questa dialogano e collaborano. Si tratta dell’Afghanistan, della Bielorussia, della Mongolia e, soprattutto, dell’Iran.

Vi sono poi alcuni dialogue partners, con i quali sono in corso contatti esplorativi. Tra questi Armenia, Azerbaijan, Cambogia, Nepal, Sri Lanka e soprattutto Turchia, paradossalmente membro della NATO ma sempre più vicino all’alleanza eurasiatica. Uno degli organi principali della SCO è la Struttura Regionale Anti Terrorismo di Tashkent (Uzbekistan), che funge da coordinamento per le attività di contrasto al terrorismo, all’estremismo religioso (ovviamente soprattutto di matrice islamista) e al separatismo.

Per queste peculiari caratteristiche, c’è chi ha definito la SCO l'”anti NATO” dell’Eurasia. Una tesi cui l’organizzazione stessa, nei giorni precedenti l’incontro, ha risposto eloquentemente con un video sui propri canali social. “La nostra – questo il succo del discorso – non è un’organizzazione con caratteristiche offensive“. Ma anche: “Non inseguiamo un nemico immaginario“. Parole forti, che dimostrano in realtà come l’intenzione di integrare politica economica e politica militare dell’immensa massa eurasiatica sia in realtà in stato più avanzato di quello che saremmo portati a pensare.

NO A INIZIATIVE UNILATERALI IN SIRIA, COREA E SUL NUCLEARE IRANIANO E DIFESA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Tra i dossier al centro della fitta agenda degli incontri delle ultime 48 ore c’erano, oltre ovviamente a programmi pluriennali di cooperazione economica, anche la questione del programma nucleare iraniano, le tensioni in Corea e la situazione del commercio internazionale. La dichiarazione conclusiva dei Paesi membri è stata al proposito molto chiara: “Gli Stati membri – è stato scritto nel comunicato conclusivo – hanno sempre sostenuto la risoluzione della situazione in Afghanistan, Siria, Medio Oriente e penisola coreana e altri conflitti regionali nel quadro di norme e principi universalmente riconosciuti del diritto internazionale. È stata notata l’importanza dell’attuazione sostenibile del piano d’azione globale comune per risolvere la situazione del programma nucleare dell’Iran“.

Inoltre, mentre a Ottawa volavano gli stracci tra neo-protezionisti e globalisti, anche sul commercio la SCO ha dato la sua lettura, riconoscendo “l’ importanza di migliorare l’architettura della governance economica globale e il progressivo rafforzamento e lo sviluppo del sistema commerciale multilaterale, il cui nucleo è l’organizzazione mondiale del commercio”, e anche la necessità “di creare un mondo aperto a tutti i livelli“.

TRA GAS E PETROLIO VERSO IL MULTIPOLARISMO MONETARIO?

Sempre a proposito di equilibri economici, non bisogna dimenticare che, oltre a tre dei primi sei produttori di gas naturale al mondo (Russia, Iran e Cina), nella SCO, per comprenderne ulteriormente l’importanza strategica in prospettiva, trovano posto il primo importatore mondiale di petrolio (la Cina) e il quarto (l’India), con le ovvie conseguenze che una progressiva integrazione potrebbe avere nello scalfire la supremazia del dollaro nel mercato energetico globale. In questo contesto dobbiamo inserire il lancio, lo scorso 26 marzo, da parte della Cina, del petro-Yuan, ossia il calcolo in valuta nazionale cinese dei futures del crude oil sui mercati borsistici, che può essere considerato un significativo passo in avanti verso una futuribile situazione di “multipolarismo monetario”.

L’ORDINE MONDIALE ANGLOAMERICANO NON E’ ETERNO

Così, mentre parte del globo continua a dare un’importanza ingiustificata all’ormai frammentato G7, un consesso ricco di divisioni e al cui interno procede la lotta tra il presidente statunitense Donald Trump e l’elite liberal che lo osteggia sia in terra americana che in Europa, l’ingiustificato silenzio sulla realtà della SCO e sulle emergenti potenze asiatiche o euroasiatiche è lo specchio di una classe dirigente occidentale miope, che sembra voler ignorare ciò che accade al di fuori del proprio mondo.

Sembra perdurare l’ottimistica e cieca convinzione che organismi come il G7, che vengono dati ormai per scontati, quasi che fossero presenti da sempre, ma che sono in realtà recentissimi e figli a pieno titolo del secolo americano, siano destinati a durare in eterno.  Ovviamente basta leggere la storia dell’umanità, che ha visto nascere e crollare imperi immensi e prosperare e poi scomparire grandi civiltà e religioni, per capire che tutto questo è non solo irrealistico, ma pericoloso. Il cosiddetto nuovo ordine mondiale, lungi dall’essere figlio di qualche improbabile complotto è solo un progetto egemonico emerso dalle vittorie dei Paesi dell’anglosfera nel primo e nel secondo conflitto mondiale ed entrato nella sua fase attuale con il crollo del blocco sovietico. Un disegno egemonico però guidato, come tutti quelli che lo hanno preceduto, da un’ideologia utopica, in questo caso quella della democrazia mercatista globale di matrice anglofona e protestante, e per questo destinato prima o poi, come tutte le piccole o grandi utopie della storia, a scontrarsi con gli scogli della realtà e dell’eterogenesi dei fini. Eterogenesi che, per un capriccio del destino, come in un contrappasso dantesco, fa sì che il più significativo mutamento dello stato del mondo post Guerra Fredda sia partito da quegli Stati Uniti che, fino a 24 mesi fa, sembravano ancora il centro intoccabile dell’impero.

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