L’Unione Europea e la Nato vogliono la guerra? Guerra avranno. Ma solo sulle loro spalle. E a caro prezzo. Questo appare essere, a freddo, il sunto del supposto “cambio di linea” del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che martedì 23 settembre ha affidato a un post sul suo social Truth l’opinione secondo cui l’esercito di Kiev “con il supporto dell’Unione Europea, è in posizione di combattere e vincere per riconquistare tutta l’Ucraina nella sua forma originale”. Insomma, oltre a una sconfessione dei tentativi negoziali (per ora ampiamente falliti) con Mosca dopo l’incontro estivo in Alaska, provocata certamente dalla delusione per il mancato risultato (che ai suoi elettori aveva promesso di raggiungere “in 24 ore” ai tempi dell’ultima e fortunata campagna elettorale, con successiva e immancabile smentita), quella che appare è, soprattutto, una via alternativa per raggiungere quello che, in fondo, era l’obiettivo principale fin dall’inizio: disimpegnare, almeno parzialmente, gli USA dal teatro europeo e trasformare quella che, sotto la precedente amministrazione Biden, stava diventando una voragine finanziaria in un’opportunità di business. A carico delle cancellerie del Vecchio continente (cioè dei suoi cittadini), che hanno sabotato fin da subito dopo il meeting di Anchorage tra Trump e Putin ogni ipotesi di negoziato con Mosca, indossando i panni di “poliziotto cattivo” nei confronti del Cremlino.

E, infatti, all’atto pratico, nulla cambia: gli armamenti per l’Ucraina, prodotti dal comparto militare industriale statunitense, saranno sempre, come annunciato all’inizio dell’estate, acquistati e pagati dalla NATO (o, per meglio dire, dai suoi membri europei) e, da questa, girati a Kiev. Nel mentre, personale militare americano è stato invitato a partecipare, come osservatore, alla grande esercitazione Zapad condotta da russi e bielorussi a metà settembre (dipinta in Europa come una minaccia diretta e imminente all’Occidente, al punto che la Polonia ha chiuso i propri confini per settimane). Nel frattempo, mentre Washington impone agli junior partner lo stop all’acquisto di materie prime russe, per sostituirle con quelle fornite dallo “Zio Sam” (soprattutto il GNL), scelta che verosimilmente inciderà nuovamente sul prezzo delle commodity in Europa, il gigante petrolifero americano Exxon sigla un accordo miliardario per tornare in Russia. Non solo, ma la Casa Bianca ha anche avviato una normalizzazione delle relazioni con il presidente bielorusso Lukashenko. Perché alla fine va bene la guerra ma gli affari sono affari. Unendo i puntini di questo atteggiamento apparentemente schizofrenico, emerge il quadro di una diplomazia spregiudicata e, a tratti, rozza ma che non muta di una virgola il fine da sempre perseguito da parte dell’impero americano (e in maniera peculiare e sempre più aggressiva negli ultimi decenni), cioè quello di aggiudicarsi il massimo vantaggio a detrimento di chiunque: nemici (Cina, Russia e Bielorussia) o amici (UE e Ucraina) non fa alcuna differenza.

 

 

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