CHINA-EEUUL’aquila americana e il dragone cinese. Due potenze sempre più destinate a scontrarsi anche sul piano degli armamenti nucleari? Che la situazione tra Pechino e Washington sia sempre più calda, come più volte si è scritto su questo blog, lo dimostra l’evoluzione degli scenari internazionali. Nella giornata di ieri, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna) hanno annunciato di rifiutare la firma del TPNW (Treaty on Prohibition of Nuclear Weapons), il trattato globale per la messa al bando delle armi atomiche, che era stato approvato con i voti di 120 Paesi da una conferenza dell’ONU a luglio del 2017 e che, ad oggi, contava l’adesione di 69 governi dal mondo, 19 dei quali lo avevano ratificato ufficialmente.

In una nota stampa congiunta, i cinque Paesi, riconosciuti come potenze nucleari, hanno annunciato di continuare a prestare fede al Trattato di non proliferazione del 1968, preferendo seguire una linea graduale per il raggiungimento del disarmo atomico, poiché il nuovo trattato ignorerebbeil contesto di sicurezza internazionale e le sfide regionali e non fa nulla per incrementare la fiducia e la trasparenza tra gli Stati. Tra le righe bisogna ovviamente leggere una sfiducia tra i cinque stati coinvolti, soprattutto verso i rispettivi alleati (Israele e Iran).

Insomma un brusco stop, ad appena una settimana dall’annuncio, da parte degli Stati Uniti di Donald Trump, di voler ripudiare unilateralmente il trattato INF sulle armi nucleari per limitare il numero dei missili dispiegati in Europa, siglato con l’Unione Sovietica nel 1987, con la scusa di presunte violazioni russe. Un accordo che aveva di fatto dato l’avvio alla conclusione della Guerra Fredda (con lo smantellamento di quasi 2.700 missili a corto e medio raggio installati da USA e URSS sul territorio europeo) e che ora, invece, sembra riaprirla ufficialmente. Ma tra contendenti diversi. E’ chiaro infatti che la scelta americana, più che verso Mosca, sembra essere un messaggio verso Pechino, dal principio il vero obiettivo dell’aggressiva linea politica dell’amministrazione Trump, la cui feroce ostilità al multilateralismo nelle relazioni diplomatiche si basa principalmente su una propaganda di recupero della supremazia statunitense (“make America great again”), che dall’iniziale isolazionismo (buono per la campagna elettorale come candidato “anti-establishment”) sta sempre più sconfinando nel neo-conservatorismo imperalista. Un atteggiamento così sconsiderato che anche il principale think tank globalista da sempre legato al soft power americano, il CFR (Council on Foreign Relations), non è sembrato favorevolmente impressionato, spiegando in un’analisi apparsa sul proprio sito come l‘INF fosse “uno dei trattati più convenienti mai siglati dagli Stati Uniti.

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Emerge qui in maniera netta lo scontro tra le due visioni ai vertici dell’elite statunitense: da un lato, per citare il motto della Fabian Society britannica (storica casa madre del mondialismo progressista), i “lupi vestiti da agnelli” globalisti, tra le cui fila siedono sia democratici che repubblicani, che vorrebbero assorbire attraverso il processo progressivo del mondialismo politico e della globalizzazione economica le aree del pianeta caratterizzate da alterità rispetto al modello liquido occidentale (attaccando militarmente invece quegli stati che, secondo il piano Cebrowski-Barnett del 2001, eloquentemente illustrato da Thierry Meyssan, non è possibile integrare socio-politicamente nel sistema anglo-americano e liberale), progetto oggi largamente perdente, dall’altro i falchi nazionalisti legati al presidente che pensano di attuare un modello aggressivo da “bastone e carota” per imporre i propri obiettivi, sulla falsariga delle trattative con la Corea del Nord, e minare così il multipolarismo dalle basi.

IL BASTONE E LA CAROTA. MA MOSCA E PECHINO NON SONO PYONGYANG…

Ma Mosca e Pechino non sono Pyongyang. E se Washington crede di poter convincere i russi ad abbandonare la Cina, come giustamente osserva Lorenzo Vita su Gli Occhi della Guerra dopo gli incontri avuti al Cremlino dal falco della Casa Bianca, John Bolton, non avrà vita facile:“La questione è particolarmente complessa. E ricorda per certi versi quanto sta avvenendo in Siria. La Russia, fino a questo momento ha avuto un merito: quello di costruire alleanze con le altre potenze mondiali avversarie degli Stati Uniti. In Medio Oriente, Vladimir Putin ha creato una forte sinergia con l’Iran. E impossibilitati a colpire direttamente le forze russe, Israele e Stati Uniti hanno fatto (e continuano a far) il possibile per spezzare l’asse fra Mosca e Teheran (…). Provata la tecnica in Siria, adesso gli Stati Uniti vogliono fare lo stesso anche in Asia, questa volta colpendo l’asse fra Cina e Russia (…). Gli Stati Uniti ce la faranno a raggiungere il loro scopo? Difficile. Attualmente Mosca e Pechino hanno molti interessi in comune, di tipo politico,economico, energetico e strategico”.  Globalisti o “trumpiani”, insomma, se le strategie divergono, l’obiettivo degli americani alla fine è sempre quello. “Gli Stati Uniti – osserva Roberto Vivaldelli sempre su Gli Occhi della Guerravogliono difendere la propria egemonia fondata sull’ordine liberale internazionale, la Cina è pronta a metterla in discussione. La competizione fra le due grandi potenze non potrà che essere sempre più decisa e pericolosa”.

BOLSONARO NON E’ SOVRANISTA, MA LIBERISTA E FILO-AMERICANO. E PUÒ DIVIDERE I BRICS (IN FUNZIONE ANTI-CINESE)

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La competizione tra Stati Uniti e Cina si sta sviluppando anche in Sud America. Nel contesto rientrano anche le elezioni brasiliane, vinte a suon di scandali mediatico-giudiziari (in stile Tangentopoli) che hanno investito i socialisti dal candidato di destra Jair Bolsonaro, definito il “Trump tropicale” e il cui staff ha più volte incontrato l’onnipresente Steve Bannon, ex stratega di The Donald. Bolsonaro, insomma, ha goduto di ampio supporto da parte degli ambienti repubblicani statunitensi. Nonostante sia spesso stato accostato ai “sovranisti”, è bene dire che questo è un paragone totalmente azzardato. La sua ricetta per l’economia, fatta interamente di privatizzazioni e quindi per nulla nazionalista ne è un indice molto chiaro. Così come la vicinanza a lui espressa dal presidente argentino Mauricio Macrì, “servito” a sua volta a spazzare via il populismo peronista dei Kirchner dal Governo di Buenos Aires, sempre grazie a una propaganda basata sulla corruzione e sulla dannosità della spesa pubblica, rimpiazzandolo con dosi da cavallo di liberismo e austerità secondo le linee indicate dal Fondo Monetario Internazionale. Ricette economiche, quelle di Macrì, che stanno già generando un forte malcontento sociale.

La realtà piuttosto evidente è che in Sud America sta prendendo corpo un disegno anti-socialista e anti-bolivariano che si sta espandendo a macchia d’olio, considerando anche la guerra economica in atto contro il Venezuela (che, guarda caso, gode del supporto internazionale della Cina) e la difficile situazione in Nicaragua. La Casa Bianca sta portando avanti un piano basato su una sorta di nuova dottrina Monroe: la trasformazione dell’America Latina nel cortile di casa di Washington, immune dall’influenza cinese (e da qualsiasi vagito di sovranità), come nota giustamente anche Paolo Mastrolilli su La Stampa.

Il Brasile è senza dubbio un Paese cardine di questa strategia, perchè membro del gruppo dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che avevano rappresentato, con la Cina come guida sostanziale pur se non ufficiale, il gruppo simbolo della transizione multipolare a livello globale, arrivando, nel 2014, a fondare la New Development Bank, una banca di sviluppo mondiale in sostanziale competizione con il FMI e interamente controllata dalle economie emergenti. Con Bolsonaro e la sua impostazione totalmente filo-americana si può facilmente prevedere che l’esperienza di quella alleanza sia da considerarsi sospesa. Se non addirittura, ma questo lo rivelerà solo il tempo, conclusa.

CAMMINANDO SULL’ORLO DELL’ABISSO?

A cosa porterà tutto questo attivismo anti-cinese degli americani? Lo riassume in maniera molto diretta Maurizio Blondet, in uno splendido articolo sul proprio sito web.  Scrive infatti, citando Andrei Belussov, direttore aggiunto al dipartimento non-proliferazione durante una riunione della Prima Commissione disarmo all’ONU, che mentre “la Russia si prepara alla guerra, gli americani preparano la guerra“. Insomma,  l’umanità è nuovamente in cammino su un crinale pericoloso. Sotto il quale c’è l’abisso.

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