Da Caracas ad Aquisgrana: gli USA contro il mondo multipolare e lo storytelling sovranista
Che l’annuncio del ritiro delle truppe americane dal teatro siriano fosse semplicemente dovuto a un cambio nella strategia comunque imperialista della presidenza degli Stati Uniti (rispetto a quella precedentemente impostata dal deep state), piuttosto che a una supposta volontà “antisistema” di Donald Trump, lo si era chiaramente anticipato su questo blog.
Il caos esploso ieri in Venezuela, con l’autoproclamazione del presidente dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione Juan Guaidò a presidente della Repubblica in luogo del capo di Stato eletto Nicolas Maduro, appoggiata dagli Stati Uniti, dimostra ora che le previsioni erano corrette. Ovviamente, come c’era da attendersi, è partito il coro dei media occidentali, pronti a chiedere la testa del “tiranno Maduro”.
“Nicolas Maduro e il suo regime sono illegittimi – ha affermato Donald Trump – e il popolo del Venezuela ha fatto sentire con coraggio la sua voce chiedendo libertà e rispetto della legge“. “Ci difenderemo a ogni costo“, è stata la replica di Maduro, rieletto presidente a maggio dello scorso anno con il 67,84% delle preferenze, sebbene il voto sia stato disconosciuto dall’opposizione per la scarsa affluenza alle urne.
Il Venezuela, travolto da una grave crisi economica, è certamente un Paese in difficoltà. Ma, altrettanto certamente, hanno pesato le dure sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che hanno vietato qualsiasi transazione finanziaria con le aziende di Stato venezuelane, in primis quelle relative ai bond emessi dal gigante petrolifero PDVSA, primo motore dell’economia nazionale. Un motore che, logicamente, fa gola alle compagnie private del petrolio.
Sembra di rivivere quanto avvenuto, tra il 2011 e pochi mesi fa, con il presidente siriano Bashar Al Assad. E anche gli schieramenti internazionali seguono le medesime logiche di allora: da un lato gli Stati Uniti, l’Unione Europea (anche se, questa volta, in maniera molto più tiepida) e gli altri alleati occidentali (in testa il Brasile del neo-eletto Jair Bolsonaro), dall’altro, il gruppo di Paesi che supportano il presidente regolarmente eletto Maduro, tra cui la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese.
“Le dichiarazioni degli ultimi giorni dei dirigenti brasiliani e americani sono inquietanti”, ha detto il ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov, che ha promesso a Maduro (che si era recato in visita a Mosca lo scorso dicembre) le “armi necessarie per difendersi”. Il riferimento ai brasiliani riguardava anche le dichiarazioni di Jair Bolsonaro che aveva affermato la propria disponibilità a ospitare basi americane per “bloccare la penetrazione russa nel continente attraverso Cuba e Venezuela”.
Altro alleato di Maduro è il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con cui è in vigore un accordo in base al quale la Turchia raffinerà l’oro venezuelano e lo utilizzerà come mezzo di scambio per evitare a sua volta le misure USA contro l’Iran.
Il sovranismo è stato inglobato dallo storytelling della geopolitica USA?
Quello cui si sta assistendo è, in realtà, lo scontro tra la superpotenza dominante, gli Stati Uniti, e le potenze regionali emergenti. La prima spinge nettamente per conservare un dominio unipolare sul mondo, i secondi (Cina, Russia, Turchia, Iran e probabilmente in futuro anche Germania e Francia) spingono invece per spezzare l’egemonia statunitense e giungere a un mondo multipolare.
Lo si vede a Caracas, lo si vede con la conferma, fatta arrivare nelle ultime ore dagli USA a Mosca, dell’uscita unilaterale definitiva dal trattato INF sui missili a raggio corto e intermedio (che prelude chiaramente a una preoccupante uscita dal trattato New Start sui missili nucleari intercontinentali…), lo si anche vede per l’ostilità con cui è stato accolto il cosiddetto Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania, il cui sodalizio è ormai stato attaccato anche dall’interno dell’Unione Europea (il presidente del Consiglio Europeo, il polacco Donald Tusk – da notare che non casualmente la Polonia è uno dei più solidi partner di Washington in seno al consesso comunitario -, ha affermato che Parigi e Berlino debbano chiarire quanto prima che la loro iniziativa, che comprende anche la realizzazione di un esercito europeo, non sia in contrasto con le finalità dell’unione).
In questo frangente è ormai chiaro e lampante come non esista più in realtà nessuna lotta tra sovranisti e globalisti e che questa, inizialmente figlia di giuste recriminazioni della classe lavoratrice schiacciata dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell’economia, sia piuttosto ormai evoluta (o involuta, a seconda dei punti di vista) in un prodotto dello storytelling della geopolitica americana (e finalmente qualche osservatore, sebbene esterno al circuito mainstream, inizia a prenderne atto…).
Il globalismo ideologico (ma non quello pratico) è stato de facto già seppellito dai suoi creatori, gli Stati Uniti, e il supporto ai supposti (ormai è necessario affermarlo) movimenti sovranisti in giro per il globo (tra cui verrà presto annoverata anche l’opposizione venezuelana) mira esclusivamente a non consentire il sorpasso da parte della Cina in campo diplomatico, politico e militare.