La Nuova via della seta e l’Eurasia: una prospettiva strategica di lungo termine
Quello della Nuova via della seta (o BRI – Belt and Road Initiative) è stato un tema molto affrontato dai media generalisti in occasione della visita, avvenuta in primavera, del presidente cinese Xi Jinping in Italia. E proprio questo è il tema di copertina del 55esimo numero di Eurasia – Rivista di studi geopolitici, appena uscito. Peraltro, proprio in occasione della visita di Xi Jinping, l’Italia ha aderito al progetto cinese siglando un protocollo d’intesa. In molti hanno sollevato criticità di natura commerciale, paventando possibili rischi per la sovranità e la sicurezza nazionali…
“Qualora la firma del protocollo d’intesa programmatica con la Repubblica Popolare Cinese – commenta il direttore di Eurasia, il professor Claudio Mutti, di tutt’altra opinione – avesse un seguito concreto (eventualità sulla quale pesa come un macigno la disapprovazione statunitense), l’Italia verrebbe a disporre di una straordinaria possibilità per incrementare il suo sviluppo economico: le imprese italiane potrebbero partecipare ai grandi investimenti in tutti i paesi eurasiatici toccati dai corridoi della nuova Via della Seta, come fanno altri paesi europei. D’altronde diverse compagnie cinesi hanno già acquisito partecipazioni importanti nei porti dell’Europa, da Amburgo e da Rotterdam fino a Marsiglia e a Valencia. Ora, siccome per contare sullo scacchiere internazionale sarebbe necessario che l’Europa imparasse a muoversi in modo unitario, l’accordo di Roma con Pechino potrebbe rappresentare il primo passo per un accordo complessivo tra l’Unione Europea e la Repubblica Popolare Cinese. E il vantaggio non sarebbe solo economico, perché la cooperazione con la Cina, lungi dal comportare una minaccia alle sovranità nazionali, è un’opportunità per il recupero di una sovranità reale ed effettiva da parte dell’Europa intera. La Cina infatti, così come la Russia ed altri paesi realmente sovrani del Continente eurasiatico, rappresenta un’alternativa al sistema di alleanze che gli USA utilizzano per mantenere l’Italia e gli altri paesi europei in condizioni di sottomissione politica e militare”.
La BRI può dunque essere uno strumento per svincolare l’Italia dalla ormai pluridecennale sottomissione alle logiche geopolitiche atlantiche, visto che il rapporto con Pechino risale indietro di secoli?
“Come è spiegato anche in questo numero di Eurasia – prosegue Mutti – lo scopo del progetto cinese consiste nel connettere nuovamente, come all’epoca delle carovane e dei mercanti veneziani, le membra costitutive dell’unico corpo continentale eurasiatico; e questo non soltanto sotto il profilo commerciale, ma ‘abbattendo finalmente quel muro invisibile che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, divide la parte occidentale dell’Eurasia da quella orientale, contrapponendole a vantaggio della talassocrazia americana’. È vero, Pechino vuole rilanciare traffici e commerci sulle rotte marittime e sui tracciati terrestri che fin dai tempi dell’Impero Romano e del Celeste Impero mettevano in relazione le due estremità della massa eurasiatica. Ma siccome oggi la Via della Seta attraversa alcune delle aree di crisi fra le più delicate al mondo, per la Cina diventa necessario garantire pace e stabilità agli Stati coinvolti in tale iniziativa. Il fatto che gli Stati Uniti d’America e i circoli atlantisti in Europa e in Italia considerino il progetto cinese con evidente preoccupazione conferma che esso rappresenta una straordinaria opportunità se si vuole liberare il Continente eurasiatico dall’intrusione nordamericana”.
Già, ma quale è la prospettiva geopolitica cinese nel lungo termine? Quale può essere, in tale prospettiva, il suo rapporto con la Federazione Russa? E con gli Stati Uniti?
“La Cina – conclude Mutti – è una potenza storicamente priva di vocazione espansionista, tant’è vero che i suoi confini sono rimasti praticamente gli stessi nel corso dei secoli. Ancora oggi, per quanto concerne le linee ispiratrici della sua politica estera, la Repubblica Popolare Cinese rimane sostanzialmente fedele ai principi della Conferenza di Bandung, la quale nel 1955 dichiarò necessaria la cooperazione tra paesi diversi, indipendentemente dalle differenze di ordinamento politico, e proclamò la necessità di difendere la sovranità degli Stati contro le intromissioni imperialiste. Essendo convinta che il principio dell’equilibrio possa garantire una tendenziale parità nelle relazioni internazionali e possa assicurare una certa stabilità, la Cina respinge il tentativo statunitense di costruire un ordine unipolare e sostiene invece la necessità di un ordine multipolare fondato sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra Stati sovrani. Dovendo fare i conti con le mire degli USA, i quali hanno eletto l’area Asia-Pacifico come zona cruciale per i futuri equilibri internazionali e vi hanno dispiegato un massiccio schieramento di forze in funzione anticinese, Pechino ha stabilito con Mosca un’intesa strategica. Particolarmente rilevante è la cooperazione russo-cinese in Asia centrale, dove la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa sono riuscite ad arrestare la penetrazione statunitense verso il mackinderiano Heartland. Il professor Gilbert Rozman, autore di uno studio sull’attuale pensiero strategico cinese, ha messo in luce alcune ragioni strutturali che sembrano conferire un carattere duraturo al processo di integrazione dei rapporti politici, economici e diplomatici tra Mosca e Pechino. Le due potenze stringono relazioni reciproche per fronteggiare le attuali minacce esterne e si attestano su posizioni analoghe sul piano internazionale, schierandosi dalla stessa parte nei principali conflitti globali”.