La narrazione occidentale del Coronavirus cinese? Non è disinteressata…
L’inizio del 2020 è già ricco di avvenimenti destinati a far parlare i libri di storia. Dalla Brexit all’accordo che ha posto fine alla guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti fino alla brutale eliminazione, ancora da parte degli USA, del generale iraniano Qassem Soleimani. Ma il tema “caldo” che condiziona l’agenda mediatica internazionale da due settimane a questa parte è certamente un altro: il Coronavirus.
L’epidemia che sta sconvolgendo la Repubblica Popolare Cinese e il mondo, con 1.310 decessi e 14.840 contagi nella sola provincia dello Hubei, da cui tutto è iniziato, è destinata ad avere ripercussioni, ovviamente, anche di carattere geopolitico. La prima, ovviamente, è quella di colpire e isolare il gigante cinese. Senza che, peraltro, vi siano ancora delle certezze sulla effettiva gravità di questa patologia.
Non è infatti un caso che l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità abbia a lungo discusso prima di dichiarare l’emergenza sanitaria globale. Lo scorso 22 gennaio, i membri del Comitato di emergenza dell’OMS avevano infatti “espresso opinioni divergenti sul fatto che questo evento costituisca o meno un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale“. Il 30 gennaio, il Comitato dell’OMS è stato ri-convocato e ha dichiarato l’emergenza.
A quella data, le cifre dell’infezione risultavano essere le seguenti: nessuna morte avvenuta al di fuori della Cina, più di 9500 casi registrati nel Paese asiatico e circa 150 casi registrati all’estero. Ebbene, come riporta il sito del think tank Centre for Research on Globalization “negli Stati Uniti, i Centers of Disease Control stimano che per la stagione 2019-2020, si siano registrate almeno 15 milioni di contagi da virus influenzale, 140.000 ricoveri e 8.200 decessi negli Stati Uniti, con una popolazione di 330 milioni di abitanti, circa un quarto quello della Cina”.
Senza menzionare che non via sia stata alcuna copertura mediatica per quanto riguarda l’influenza stagionale, che nel 2017 ha provocato globalmente 650mila morti. Non mancano precedenti similari: nel 2009, relativamente al virus H1N1, l’OMS predisse un’infezione che avrebbe potuto colpire due miliardi di persone in due anni. Inutile dire che non accadde…
Singolare casualità in un momento in cui, con la tregua commerciale tra Washington e Pechino, sembrava che i rapporti tra l’Occidente e il gigante asiatico si potessero normalizzare. Ma la Cina rimane pur sempre il primo rivale geopolitico ed economico di Washington, soprattutto sotto l’Amministrazione Trump, che ha dal principio coltivato questa linea di forte contrapposizione con Pechino, del resto più volte esplicitamente sostenuta anche dal suo consigliere ai tempi della campagna presidenziale, l’enigmatico Steve Bannon. E allora non è forse un caso se, contro gli stessi pareri dell’OMS, il Governo americano abbia immediatamente consigliato ai suoi cittadini di non recarsi in Cina e abbia frettolosamente ritirato personale dai consolati degli Stati Uniti e dall’Ambasciata a Pechino, innescando così una valanga di reazioni simili in altri Paesi occidentali, soprattutto in Europa.
Certo, che l’epidemia cinese sia un problema è innegabile, ma pare altrettanto pacifico che lo spin fortemente negativo che ne viene dato dall’informazione mainstream occidentale (come del resto accaduto già in occasione di vicende diverse, come il conflitto in Siria e di quello in Ucraina…) possa non essere del tutto disinteressato.
Nulla di nuovo sotto il sole, per carità. L’importante è esserne consapevoli.