Talassocrazia: il dominio dei mari e la geopolitica anglo-statunitense
Nonostante quanto sta accadendo in Afghanistan abbia risvegliato le opinioni attestanti un loro supposto declino, gli Stati Uniti d’America sono ancora, almeno al momento, l’unica superpotenza mondiale, intendendo questa definizione nel senso classico. Un ruolo egemonico che gli Usa ereditarono, dopo le due guerre mondiali, dall’Impero Britannico. Entrambi evidentemente di cultura anglosassone, questi imperi condividono anche il medesimo destino geopolitico, quello che accomuna le potenze talassocratiche. Basate, cioè, sul dominio dei mari. Non è forse azzardato sostenere che, senza una presa di coscienza di questa realtà, del suo retroterra teorico e delle sue implicazioni, tutt’altro che secondarie, sarebbe forse impossibile comprendere le logiche sottostanti alle scelte strategiche di Washington e Londra negli ultimi due secoli.
Utile per dissezionare l’universo concettuale e strategico alla base delle mosse anglo-americane del presente e del passato può essere, allora, un saggio di recente pubblicazione, opera di un brillante e giovane analista italiano, Marco Ghisetti ed edito da Anteo. Il titolo dell’opera, “Talassocrazia. I fondamenti della geopolitica anglo-statunitense”, illustra già in maniera chiara quali siano i suoi contorni.
“Non vi è dubbio – spiega l’autore – che vi sia una forte continuità tra l’Impero britannico e l’Impero statunitense, tanto che si potrebbe dire che il secondo è l’erede legittimo del primo. Tale continuità è data non solo dalla forma e dalla sostanza, ma anche dal filo rosso che lega le due esperienze imperiali: infatti, l’impero statunitense si è formato ereditando quello britannico. Ho detto nella forma e nella sostanza perché entrambe le esperienze imperiali si fondano e si mantengono sull’azione e la volontà di uno Stato-isola (il centro dell’impero) che basa e promuove la propria egemonia per il tramite di un doppio movimento – si potrebbe dire di sistole e di diastole – di isolazionismo ed interventismo, ovvero di affermazione della propria insularità e di proiezione anche aggressiva della propria potenza marittima ed economico-finanziaria, oltre che da una particolare organizzazione e visione del mondo di tipo mercatistico e liberale. Inoltre, il loro pensarsi come uno Stato-isola che si affaccia a ridosso di un continente di dimensioni molto più grandi rispetto a loro (l’Europa per l’Inghilterra, l’Eurasia per gli Stati Uniti), pone loro in una condizione per la quale l’eventuale unificazione ed organizzazione economico-politica di quel continente comporterebbe il definitivo tramonto della loro egeomonia, poiché lo Stato-continente disporrebbe di una potenza di molto superiore rispetto a quella dell’Isola. Per questa ragione, l’imperativo strategico che accomuna sia Inghilterra che Stati Uniti è di prevenire l’unficazione di tale continente, giocando il ruolo di bilanciatore d’oltreoceano ed inserendosi nelle delicate relazioni tra gli Stati continentali. Se l’Inghilterra quindi si è impegnata per tutto il periodo colombiano (XVI-XIX secoli) ad imporre e mantenere la propria egemonia marittima mentre giocava sulle divisioni continentali dell’Europa, gli Stati Uniti nel periodo postcolombiano (XX secolo-oggi) mantengono la propria egemonia marittima e finanziaria mentre si impegnano a prevenire ogni tipo di coalizione o di unificazione continentale”.
Il libro analizza, in maniera dettagliata, il pensiero di tre personaggi: l’ammiraglio Alfred Thayer Mahan (1840-1914), il geografo Halford John Mackinder (1861-1947) e lo studioso Nicholas John Spykman (1893-1943). Questi tre individui sono stati forse i principali teorici al servizio dell’egemonia anglo-statunitense, influenzandola ancora oggi.
“Il loro pensiero – spiega Ghisetti – influenza enormemente sia le considerazioni strategiche che l’orizzonte di senso con cui Inghilterra e Stati Uniti si muovono nel mondo internazionale. Innanzitutto, è proprio loro l’idea secondo la quale Stati Uniti (Mahan, Spykman) e Inghilterra (Mackinder) siano delle isole a ridosso di un grande continente (l’Europa per l’Inghilterra, l’Eurasia per gli Stati Uniti); continente, questo, che si caratterizza per una forte divisione politica ma che se unificato ed organizzato da un attore locale disporrebbe di una potenza tale da poter facilmente sconfiggere l’isola egemone. Per questa ragione, la strategia primaria che è derivata da questa osservazione e sistematizzata, pur tra alcune differenze nei dettagli, dai tre padri della geopolitica anglo-statunitense consiste in un doppio movimento: da una parte affermare la propria insularità (cioè distanza dal continente) per il tramite di una politica isolazionista e di dominio egemonico degli oceani e, dall’altra, di intervenire attivamente sul continente nell’ottica di mantenerlo in un neutralizzante equilibrio, quando non addirittura favorire la diffusione del potere (cioè il frazionamento degli Stati). L’affermazione della propria insularità ed il bisogno di dominare gli oceani per il tramite della propria marina implica anche una forte spinta al dominio commerciale e finanziario e, inoltre, una spinta a promuovere la caratterizzazione in chiave liberale, economicista ed individualista della propria ed altrui cultura. Lo sviluppo dottrinale, le riflessioni e le azioni che hanno caratterizzato Inghilterra e Stati Uniti hanno queste idee come nucleo centrale, le eventuali differenze essendo non altro che le proposte pratiche sul modo in cui sarebbe meglio promuovere i propri interessi. Vi sono certamente delle eccezioni, ma, appunto, rimangono eccezioni, ma i portatori di queste idee vengono solitamente esclusi dalle stanze dei bottoni. Per esempio, Mahan è piuttosto fiducioso circa la superiorità del potere marittimo su quello terrestre; Mackinder, al contrario, ritiene che il potere terrestre ha raggiunto, nell’epoca contemporanea, una tangibile superiorità rispetto a quello marittimo, mentre Spykman si pone a metà tra i due. Ma tutti e tre reputano il proprio Stato una isola che deve svilupparsi in senso marittimo, liberale e che deve prevenire l’unificazione del continente. Si prenda Brzezinski, in quanto autore più recente rispetto ai tre padri, come esempio. Anche egli afferma senza riserve che gli Stati Uniti sono un’isola circondata dall’enorme continente eurasiatico e che l’interesse permanente degli Stati Uniti sia quindi di mantenere tale continente in una situazione di mancata unificazione. Il modo pratico per farlo dopo il crollo dell’Unione Sovietica e con un’Europa colonizzata dagli Stati Uniti, secondo Brzezinski, è di frazionare gli imperi continentali, imporre le forze statunitensi nelle zone di congiuntura e di collegamento eurasiatico e prevenire il formarsi di un’alleanza anti-egemonica tra Russia, Iran e Cina. Insomma, il nucleo del suo pensiero è ancora quello sistematizzato da Mahan, Mackinder e Spykman. La medesima cosa vale per le nuove strategie di politica estera che Inghilterra e Stati Uniti hanno appena pubblicato: entrambe si muovono ancora nel solco tracciato dall’opera dei tre autori”.
Esistono oggi le prospettive per un cambio di paradigma? La tellurocrazia (cioè il dominio della terra) può sfidare il potere del mare?
“Per rispondere a questa domanda – afferma ancora Ghisetti – bisogna innanzitutto capire quanto assoluta sia la diarchia tra talassocrazia, o potere marittimo, e tellurocrazia, o potere terrestre. È una domanda importante a cui la letteratura ha dato non solo risposte, ma anche interpretazioni diverse della domanda. Mahan, per esempio, mostra una forte sicurezza circa la prospettiva secondo cui la vera sede del potere mondiale sia l’“oceano unito”, ovvero nell’unità degli oceani raggiunta ed imposta dalla potenza navale e commerciale di uno Stato egemone. Quindi, le sfide che gli Stati Uniti dovranno eventualmente affrontare, non possono che venire da quegli attori che, dotati di una sufficiente profondità territoriale e capacità organizzativa, sfideranno la potenza marittima egemone sul mare, cercando ovvero di strappare l’egemonia talassocratica agli Stati Uniti. La Germania imperiale dell’anteguerra, la quale si mostrò in grado di organizzare intorno a sé l’Europa e di creare un’alleanza persino con l’Impero ottomano costituì infatti uno sfidante maggiore, secondo Mahan. Ma anche dall’Asia si può ergere uno sfidante, il quale sarà quello Stato che riuscirà ad organizzare la profondità terrestre asiatica e, quindi, sfruttare l’arricchimento economico ottenuto con il commercio marittimo per costruire una flotta in grado di sfidare quella statunitense. Detto altrimenti, la talassocrazia anglo-statunitense, secondo Mahan, può essere sfidata solo da un’altra talassocrazia. È significativo, in questo senso, che l’attuale Presidente della Repubblica popolare cinese abbia dichiarato che i cinesi devono abbandonare la loro tradizionale visione tellurica del mondo per “donarsi al mare” e che le accademia militari e le università cinesi leggano sempre più avidamente l’opera di Mahan. Gli enormi progetti di costruzione navale oltre che l’insistenza cinesi sul fatto che secondo loro il mediterraneo asiatico (cioè il Mar cinese meridionale ed orientale) costituisce un lago interno cinese mostra l’intenzione cinese di trasformare quelle acque in un mare interno (né più né meno di quanto fecero gli statunitensi con il mediterraneo americano, cioè il Mar Caraibico e del Messico nel Novecento) da cui, in un secondo momento, proiettarsi, per il tramite della marina, su tutto il mondo costituisce precisamente una delle sfide all’egemonia talassocratica statunitense che Mahan temeva. Si potrebbe in effetti dire che gli statunitensi, dopo aver raggiunto l’egemonia oceanica grazie all’opera di Mahan, sono ora sfidati dai cinesi, i quali li sfidano proprio grazie all’opera dello stesso Mahan. Le cose cambiano invece con Mackinder, il quale ritiene invece che la tellurocrazia, ovvero una potenza terrestre, sia effettivamente in grado di sconfiggere la talassocrazia poiché l’eventuale organizzazione di un territorio ricco e dotato di profondità territoriale – quali ad esempio alcune regione del continente eurasiatico – comporterebbe la messa a frutto di un potenziale di potenza che da solo sarebbe in grado di superare quello marittimo, con l’aggiunta che questa eventuale potenza tellurocratica sarebbe in grado, qualora lo volesse e grazie alla propria superiorità di risorse rispetto alla potenza marittima, di costruire una flotta talmente grande da sconfiggere quelle di qualsiasi altra potenza. Il Grande partenariato russo e la Nuova via della seta cinese sono i due principali progetti di integrazione continentale che, attualmente, spaventano i mackinderiani. Spykman, invece, si pone in una via intermedia rispetto a Mahan e Mackinder, ritenendo invece che le potenze veramente più pericolose per il dominio anglo-statunitense siano quelle anfibie e collocate ai margini del continente eurasiatico, quali ad esempio una Germania europea e la Cina. Queste potenze sono infatti in grado sia di sfruttare la profondità territoriale e le ricchezze del continente eurasiatico sia di lanciare una strategia marittima, oltre che di beneficiare molto facilmente del commercio mondiale, il quale avviene principalmente sulle grandi rotte degli oceani del mondo. L’esempio più lampante che viene in mente nella politica mondiale attuale circa questa eventualità è proprio la doppia dimensione terrestre e marittima che forma la Nuova via della seta cinese, la quale sta sempre maggiormente bussando alle porte dell’Europa. Vi sono certamente sia similitudini sia differenze nel pensiero di questi tre autori, e l’accumulazione del bagaglio dottrinale del pensiero internazionale e strategico anglo-statunitense si è pressoché completamente sviluppato lungo le linee da loro tracciate e mostra una notevole costanza, le uniche vere differenze essendo quelle già presenti nel pensiero dei tre padri della dottrina geopolitica talassocratica. Si può certamente discutere sull’eventualità della vittoria della tellurocrazia sulla talassocrazia; la domanda è aperta e bisogna innanzitutto decidere cosa si intende con questa diarchia, e nel libro mi sono impegnato di sviscerare le varie declinazioni proposte dalla letteratura accademica e dalle riflessioni e azioni strategiche dei principali attori politici mondiali, offrendo al lettore la possibilità di farsi un’idea autonomamente e di decidere con la sua testa quale sia la migliore definizione e declinazione dei termini. Quello che è certo, tuttavia, è che attualmente vi sono tutte le condizioni affinché si registri un cambio di paradigma, ovvero un profondo cambiamento nell’ordine mondiale, già nel medio termine. Tale cambiamento consiste nella nascita, solidificazione e cementificazione dell’ordine mondiale multipolare, che modificherebbe enormemente l’ordine mondiale unipolare nato con il crollo dell’Unione Sovietica. È infatti opportuno sottolineare che sono proprio le più recenti dottrine strategiche anglo-statunitensi, appena pubblicate, a sottolineare che il decennio nel quale ci troviamo sarà decisivo per decidere la bilancia di potere mondiale che il mondo assumerà per tutto il resto del secolo. Ed esse sottolineano altresì che i pericoli posti all’egemonia statunitense consistono proprio nel tentativo di alcuni attori internazionali (principalmente Cina, Russia ed Iran) di organizzare la massa eurasiatica a proprio favore (tellurocrazia) e di costruire una flotta sufficientemente forte (talassocrazia) nell’ottica di estromettere la potenza anglo-statunitense da alcune regioni di grande importanza strategica; estromissione, questa, che potrebbe comportare lo spezzarsi del dominio che gli Stati Uniti esercitano sull’oceano unito e sulle terre di confine eurasiatiche e, quindi, la drastica diminuzione dello strapotere statunitense, con la possibile conseguenza che potremmo assistere, in questo decennio, al venir meno dello strapotere statunitense. Se poi il mondo sarà caratterizzato per un paradigma di dominio o di ordine di tipo talassocratico, tellurocratico o una via di mezzo sarà da vedere”.