Sorpresa! Solo il 26 per cento dei francesi ha ancora fiducia in Emmanuel Macron. Ancora un piccolo sforzo e il beniamino dei “dem” nostrani, supererà i record negativi toccati dall’insopportabile François Hollande, il più inviso presidente della Quinta repubblica. Un disastro pieno, senza appello.

Ma cosa sta succendo a Parigi? Tante cose e tutte spiacevoli. Da anni il Paese è in crisi profonda: il tracollo dello stato sociale — l’état providence — ha prodotto un massiccio indebitamento pubblico e una pressione fiscale pesantissima (ultimo balzello l’aumento del 15 % del prezzo della benzina e del 23% del diesel).

Per di più il fallimento del sistema d’integrazione dei “nuovi francesi” — con le continue rivolte nelle banlieus e la crescita di un terrorismo diffuso — ha generato un clima d’insicurezza, di paura. Alla crisi interna si somma poi l’erosione del peso internazionale della Francia in Europa e nel mondo. Un intreccio di sfide inquietanti a cui politici, burocrati e oligarchi non riescono a dare risposte convincenti, prospettive possibili, strade d’uscita.

Per molti, nel 2017, la presidenza Macron sembrava essere la soluzione o, almeno, un tampone per arginare il disincanto, il malessere, il declino. Illusioni. La vittoria del giovane marito di Brigitte Trogneaux — perfetto prodotto della tecnocrazia, lo “Stato profondo” transalpino — si è rivelata presto un boomerang. In 17 mesi l’ambiziosissimo Macron non ne ha imboccata una: l’economia rimane in panne, nelle città la violenza dilaga e la protesta di pensionati e lavoratori contre le riforme presidenziali continua a crescere. Intanto il movimento macronista En Marche!, il giocattolo del leader, si è rivelato un solo cartello elettorale zeppo di dilettanti o di furbetti mentre la squadra di governo annaspa e continua a perdere pezzi importanti.

Il primo tassello è caduto la scorsa estate quando il popolare generale Pierre de Villiers, capo di Stato maggiore delle Forze armate e cattolico convinto, stufo dell’arroganza del presidente (e della puzza di massoneria nell’Eliseo) ha sbattuto, tra gli applausi dei suoi ufficiali, fragorosamente la porta. Nei mesi successivi hanno abbandonato la barca governativa il ministro dell’Ambiente Nicolas Hulot, una star mediatica, e quello dello Sport seguiti ad ottobre dal ministro degli Interni, Gerard Collomb, un carico da novanta della politica transalpina. In uscita anche la ministra della Cultura Françoise Nyssen, investita da uno brutto scandalo su abusi edilizi, e il segretario generale dell’Eliseo Alexis Kohler, sotto indagine per traffico d’influenze e cattura illegale d’interessi”. Il rimpasto di governativo di fine ottobre – con l’arrivo di una somma di figure incolori — non ha convinto nemmeno i fans più sfegatati del presidente.

Le critiche sempre più aspre però sembrano però scalfire il lunare Emmanuel. Ormai smarritosi in un delirio autoreferenziale, l’uomo è sempre più insofferente verso oppositori e critici e ogni dove vede nemici del “bene”: i pensionati “lamentosi”, gli studenti “ingrati”, i sindacati “stupidi” e poi i populisti e/o razzisti più o meno camuffati. In Macronie non vi è posto per i francesi poveri e bianchi e neppure per i poveri (regolari) d’ogni colore.

Da qui le scivolate imbarazzanti. Ecco qualche perla. A giugno, in occasione della Fete de la musique, la coppia presidenziale ha voluto posare con il gruppo techno Kiddy Smile. Gli artisti, autodefinitisi “figli d’immigrati, neri e pédés”, abbracciavano i divertiti coniugi nei loro vestiti da scena. Una pochade in stile drag queen che pochi hanno apprezzato, ma subito il piccato presidente ha annunciato misure per il controllo della rete e ordinato alla televisione di Stato di “cambiare le mentalità dei francesi, diventando lo specchio delle nostre differenze”. Porte chiuse perciò alle voci scomode, Onfray e Zemmour in primis.

Poco dopo è scoppiato il caso Benalla, il manesco “assistente” dell’Eliseo. Nonostante fosse stato pizzicato mentre menava — senza alcuna autorizzazione e incarico — un manifestante dell’opposizione, il bullo è stato subito coperto da Macron in persona. Perchè? Silenzio di Stato. Ma quando i pettegolezzi sulle frequentazioni presidenziali hanno tracimato il capo supremo della Repubblica ha voluto convocare stampa e collaboratori per tuonare “Alexandre Benalla n’est mon amant”. Impossibile immaginare scenette simili con De Gaulle e Mitterrand. Difficile pensarle persino con personaggi minori come Sarkozy o Chirac.

A settembre il capo dello Stato ha visitato le Antille francesi; a Saint Martin si è fatto immortalare stretto tra due giovani nerboruti e a torso nudo. Al momento dei flash i compari, ambedue pregiudicati, si sono esibiti in un gesto volgare sotto lo sguardo compiaciuto e molto ambiguo del presidente. Un’immagine devastante. Ma quando Marine Le Pen ha osato giudicare la scenetta come “imperdonabile”, Marléne Schiappa, segretaria di Stato, ha definito la signora del RN “leader di un grande partito razzista, d’estrema destra”. Quindi una reproba da zittire. Peccato che Marine, assorbito il duro colpo delle presidenziali, continui a crescere in ogni sondaggio ed oggi il suo movimento è proiettato attorno al 20 per cento, eguagliando così il cartello di Macron

Ultima trovata, le celebrazioni sottotono della vittoria del 1918. Niente sfilata militare ma mesti pellegrinaggi tra i cimiteri di guerra e un meeting nella capitale in cui Macron si proporrà come il campione dei “progressisti” pro Europa contro i populisti….

Giorno dopo giorno la Macronie sembra ormai il Titanic con in più a bordo un comandante ubriaco che sbatte allegro tra gli icebergs. La nomenklatura transalpina è sempre più preoccupata e ha iniziato — basta sfogliare i quotidiani e le riviste — a distaccarsi da questo imprevedidibile e stravagante prophète exaltè (la definizione di Ivan Rioufol su Le Figaro). Adieu Emmanuel.

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