Era già tutto previsto, come cantava Riccardo Cocciante. Il disastro di Napoli, la botta di Bologna, i duelli impari (ma ancora aperti) di Torino e Roma. Non, però, Milano. Almeno non in queste dimensioni e non in queste modalità. I numeri freddi e impietosi lasciano sgomenti. Un Pd per nulla invincibile (anzi…) che totalizza da solo più consensi di tutte le liste del centrodestra, un sindaco eletto di strettissima misura nel 2018 che chiude la partita al primo turno con un sonoro 57,37 per cento (178.818 contro 99.621). Uno schiaffone nella città che fu di Berlusconi, Albertini, Moratti, Formigoni (e di Salvini e La Russa).

Obbligatorio, quindi, chiedersi — in stile “Chi l’ha visto?” —  notizie sul gruppo dirigente meneghino del centrodestra. Prima domandina. Dov’erano in questi cinque anni di Sala (ma anche nel precedente lustro dominato da Pisapia), i “geniali” strateghi forzatalioti, padani e fiammeggianti — ex ministri, senatori, deputati, assessori regionali etc. — responsabili dell’odierno casino? E se c’erano a cosa pensavano, cosa elaboravano, cosa intrugliavano?  Forse meditavano, programmavano, studiavano, analizzavano scenari futuribili a noi (e a tutti) sconosciuti, ignoti. Boh, chissà? Non lo sappiamo e di certo i milanesi — assai attenti alla concretezza — non se ne sono accorti.

Altra domandina. Se il risultato di tanto lavorio è stata, a giugno inoltrato, la candidatura suicida del dottor Luca Bernardo (ottimo medico e improbabile politico) la risposta non può che essere sconfortante. Ma ancor più peggio, se possibile, è lo sguardo annoiato e saccente con cui questo possente trust di cervelloni ha guardato Milano cuore pulsante dell’Italia, sede di nove università e unica metropoli europea del Patrio Stivale.

Ad una città straziata dalla pandemia e ansiosa di ripresa, di vita e libertà, il centrodestra ha risposto con le solite ricette securitarie, i soliti allarmi sull’immigrazione e, botta di vita, la stramba crociata contro le piste ciclabili. Insomma, sempre e solo appelli alle “mitiche” periferie  — o meglio ai segmenti vocianti di pensionati scontenti e massaie impaurite — conditi con serenate ai taxisti incazzati e, ma solo sotto traccia, alle minoranze no vax, l’effimera lunatic frange del post pandemia. Un non programma che ha impoverito le liste (si analizzino i voti di preferenza) e disilluso e scoraggiato il blocco sociale di riferimento, il ceto medio nelle sue diverse articolazioni (professioni, commercio, piccola e media impresa, partite Iva, servizi). Un mondo che in gran parte è rimasto a casa, come a casa sono rimasti i grappoli di disperazione marginali.

Privo di un’idea di futuro il centrodestra ha preferito raggomitolarsi e perdere, dimenticando le visioni del periodo Albertini — il grande assente proprio per causa dei “nostri” notabili — e le intuizioni della signora Moratti. La loro eredità è passata, obtorto collo, al sindaco rientrante. Ai commodori del fu centrodestra ambrosiano rimangono solo i rottami di un galeone sfasciato. Spetta ora ai mozzi, ai marinai, ai nostromi, ai carpentieri varare un agile vascello. Per sfidare onde increspate.

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