L'Aube

La foto che vedete qui sopra è il Centro di stoccaggio di rifiuti nucleari de l’Aube, in piena Champagne, regione francese nota per il suo vino spumante. L’arrivo del deposito nazionale all’inizio degli anni ’90 fu uno choc per questa piccola comunità di 2.800 abitanti sparsi in 21 Comuni. «Il fatto che l’Agenzia nazionale per le scorie nucleari, cioè lo Stato, si facesse garante verso la popolazione ha contribuito a tranquillizzare la cittadinanza inizialmente molto contraria», ha spiegato Françoise Donizet, sindaco di Ville-aux-Bois. Anche in Francia (58 centrali nucleari che funzionano a ciclo continuo) imperversano le stesse paure che esistono nel nostro Paese (zero centrali), ma i nostri vicini d’Oltralpe non hanno rinunciato né all’atomo né ai centri di stoccaggio.

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2015-09-03 12.54.32Come si vede nel video e anche nella foto dei canali di monitoraggio, il centro di stoccaggio de l’Aube è molto sicuro. La struttura, aperta nel 1992, che è destinata a ospitare un milione di metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità (ossia con decadimento degli isotopi e perdita della radioattività entro 300 anni; ndr ) in enormi scatoloni di calcestruzzo armato denominati «celle». I rifiuti, a loro volta, sono contenuti da moduli a forma di parallelepipedo all’interno dei quali sono effettivamente cementati manufatti di calcestruzzo che al loro interno ospitano contenitori metallici pressati. Essi provengono non solo dalle centrali (60% del totale), ma anche dagli impieghi industriali, ospedalieri e della ricerca scientifica (il restante 40%). Nel 2052, quando si stima che le celle dell’Aube saranno piene, tutto sarà ricoperto da terreno con la creazione di una collina multistrato. Le celle già poggiano su uno strato di terreno argilloso e quindi impermeabile ed eventuali liquidi o condense sono raccolti e monitorati. Il rischio di inquinamento di eventuali falde è pressoché nullo. Anche dopo essere entrati nelle celle i rilevatori di radioattività applicati ai visitatori non segnalano variazioni.

Deposito-02

Il modello transalpino è quello a cui guarda Sogin, la società pubblica – presieduta da Giuseppe Zollino e guidata dall’ad Roberto Casale – che si occupa dello smantellamento degli impianti nucleari italiani dismessi dopo il referendum del 1987 (decommissioning) e della gestione dei rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese. In Italia, però, si è ancora in attesa della localizzazione del sito dove installare il deposito nazionale, con annesso il parco tecnologico, cittadella della ricerca scientifica. La CNAPI (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) è stata redatta nell’estate 2015 e ha già individuato qualche decina di siti sulla base dei criteri fissati dall’Ispra (Istituto superiore per la ricerca ambientale). Il modello del deposito nazionale italiano, previsto dalle normative Ue per ciascun Paese, è infatti quello dell’Aube anche se sarà molto più piccolo (150 ettari di cui 110 per 75mila metri cubi di rifiuti e 40 per il parco tecnologico). Le strutture previste sono le stesse usate in Francia (vedi foto sopra). Solo lo 0,08% del nostro territorio sarà inserito nelle aree potenzialmente idonee perché sono escluse le zone a rischio sismico, idrogeologico, di altitudine maggiore a 700 metri e a intensa urbanizzazione. La mappa è nelle mani dei ministeri competenti (Sviluppo economico e Ambiente) ma l’ok per la pubblicazione è atteso da oltre sei mesi. La decisione è politicamente non facile: sono sul piede di guerra cittadine che, pur non rientrando nella Cnapi, hanno già organizzato manifestazioni di protesta. E con il referendum sulle trivelle alle viste sicuramente il premier Matteo Renzi  non getterà altra carne sul fuoco.

 

Produttori e detentori di rifiuti radioattivi in Italia«Le procedure italiane saranno ancor più stringenti di quelle francesi», assicura l’ingegner Fabio Chiaravalli, direttore del deposito nazionale, ricordando che «i rifiuti nucleari non esplodono» e che «il deposito è a prova di attacco terroristico». Inoltre, la consultazione pubblica che si avvierà per definire le aree idonee e le eventuali candidature (che non saranno vincolanti) «è destinata a rivoluzionare i metodi per realizzare le infrastrutture». Ci sarà un ampio coinvolgimento delle popolazioni atteso che il deposito comporterà un investimento di 1,5 miliardi, 700 posti di lavori e sostanziosi canoni di affitto per i terreni. E se nessuno lo vorrà in casa propria? «Resteremo con i nostri 23 depositi locali difficili da gestire e da controllare». L’ennesima ondata Nimby dovrà essere arginata. «Non c’è scelta: anche il nostro Paese deve costruire il suo sito di stoccaggio. Ogni nazione europea lo deve costruire», conclude.

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