hacker-2883632_1920

Esiste una guerra silenziosa. Le armi sono invisibili, gli schieramenti fluidi e di difficile identificazione. Potrebbe sembrare una spy story da romanzo, eppure vicende come quella degli attacchi informatici avvenuti nel corso delle ultime elezioni americane sono soltanto alcuni tra i più eclatanti episodi di cyber war, una realtà a metà strada tra spionaggio e atto di guerra. Cina, Corea del Nord, Stati Uniti, Iran e Russia, cani sciolti, mercenari del web.
Lo scenario è vasto e intricato, «Cyber war» prova a ricostruirlo attraverso il lavoro di due esperti: Alessandro Curioni, consulente specializzato in cybersicurezza, docente all’Università Cattolica di Milano e fondatore di Di.Gi. Academy e Aldo Giannuli, ricercatore in scienze politiche presso l’Università degli Studi di Milano e già collaboratore di procure e commissioni d’inchiesta.

Alessandro CurioniMa come funziona questa guerra cibernetica? «Si tratta di un insieme di atti violenti in forma più o meno organizzata che si svolgono prevalentemente in uno spazio virtuale e/o digitale attraverso l’uso delle nuove tecnologie», spiega Curioni sottolineando che «la principale caratteristica è produrre effetti concreti e danni diretti nel mondo reale». In futuro la più stretta interconnessione dei sistemi e la diffusione dell’IoT potrebbe determinare, in caso di attacchi cyber, la completa paralisi di una nazione. «La pervasività delle tecnologie dell’informazione nei Paesi più sviluppati li renderà sempre più vulnerabili a una guerra cyber e questo potrebbe rappresentare l’unica possibilità per tutte quelle organizzazioni incapaci di contrapporre al nemico un arsenale adeguato per una guerra convenzionale», sottolinea Curioni. In pratica, Paesi «poveri» e privi di risorse sufficienti per condurre una battaglia convenzionale potrebbero essere in grado di bloccare la rete elettrica delle superpotenze o o di compromettere la funzionalità dei sistemi e degli algoritmi intelligenti a supporto di esercito, aviazione e marina.

Cyber WarLa vera difficoltà è capire chi sia il nemico. Chi attacca nella cyber war è in posizione di vantaggio, sostiene l’esperto, perché «può sfruttare un fronte sconfinato e con infiniti punti di accesso, per giunta senza soffrire dei problemi logistici che hanno sempre afflitto gli eserciti invasori». Come nel caso della guerra fredda anche in questo caso esiste un deterrente. Se prima era l’uso delle testate nucleari a spaventare Usa e Urss, in questo caso gli Stati devono confrontarsi con «un malware altamente distruttivo che in un mondo completamente interconnesso non è in grado di distinguere tra i sistemi del nemico e i propri. Il rischio che l’arma si rivolti contro il suo creatore non è affatto trascurabile». Diverso il discorso per organizzazioni di stampo terroristico che potrebbero avere poco o nulla da perdere. «Una futura Isis hi-tech potrebbe fare danni incommensurabili», conclude Curioni.

 

Wall & Street

Tag: , , , , , , , , , , , , , , , , ,