24Feb 22
La guerra dello zar
Pubblichiamo un’analisi sul conflitto russo-ucraino dell’esperto di comunicazione Fabrizio Amadori.
«È da tempo che il cosiddetto “zar” cerca di riprendere il controllo delle ex repubbliche sovietiche, ed in particolare dell’Ucraina che, schiacciata come è tra Russia e Europa, occupa una posizione strategica sia verso Mosca che verso l’Occidente. Il primo problema tra Russia e Ucraina nasce dalla questione del Donbass ma anche, ripeto, da quello che Kiev vuol diventare, ossia un membro della Nato. Certo, questo metterebbe a rischio alcuni equilibri, ma esiste una gerarchia tra le ragioni difendibili a livello internazionale, e la principale, io credo, è che uno Stato autonomo può ed anzi deve decidere da solo con chi stipulare alleanze. Soprattutto se è una vera democrazia come l’Ucraina, un paese cioè dove il presidente è investito della volontà popolare.
A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, dopo il crollo del Muro di Berlino, la Russia avrebbe potuto inaugurare un “Nuovo Rinascimento” per l’Europa orientale, ossia un periodo di vera democrazia e di vera crescita economica. Ed invece cosa è successo? Che Putin ha azzoppato la democrazia in Russia e ha bloccato di fatto la crescita del mercato riservando a pochi oligarchi la gestione del settore per poterli controllare. Infatti, per uno che ragiona come Putin, ossia da ex agente segreto sovietico, il libero mercato è l’anticamera della liberaldemocrazia reale. Essendo venuta meno la ragione della divisione in blocchi ideologici si sarebbe potuta aprire una nuova stagione in Europa, con la Russia che avrebbe potuto crescere insieme con i Paesi occidentali.
Ma se lo sviluppo del libero mercato fa paura a Putin, figurarsi una vicinanza eccessiva con la parte più democratica del pianeta, ossia l’occidente dell’Europa. Putin sapeva dall’inizio di aver bisogno di continue tensioni per rimanere al potere, per giocare insomma su vari tavoli a seconda di come tirava l’aria di volta in volta. Quindi la Russia che oggi conosciamo è innanzitutto una sua creatura, una potenza economica quasi tutta fondata sugli idrocarburi e sull’industria militare. Quest’ultima gli serve non solo per mantenere un esercito potente da utilizzare quando occorre, ma per sviluppare una geopolitica che alle esportazioni di armi – attività in cui la Russia è seconda al mondo dopo gli Usa – leghi il controllo di certe zone del pianeta cruciali per il prezzo di gas e petrolio, fondamentale per Mosca. È insomma una politica di potenza quella che persegue Mosca con Putin, ossia una dimensione capace di sostituire, agli occhi di molti russi conservatori, la vecchia politica di contrasto ideologico con l’Occidente: prima, con l’Urss, ci si opponeva al capitalismo, oggi ci si oppone alla potenza americana e occidentale in nome del proprio prestigio, della propria grandezza e, insomma, del proprio posto al sole (per non parlare, ovviamente, della propria sicurezza: scusa piuttosto fiacca quest’ultima, però, considerato che Putin sa benissimo che l’Occidente non solo non avrebbe alcun interesse ad attaccare Mosca, ma avrebbe ben poche speranze di farlo con successo se il prezzo è un conflitto nucleare).
Peccato che non sia Putin la persona migliore per coltivare sogni di gloria: il prestigio della Russia con lui è crollato, sembrando, agli occhi di molti occidentali, una repubblica delle banane; per quanto riguarda il proprio posto al sole, e la propria grandezza, la Russia avrebbe potuto mostrarla aumentando la propria forza economica, finanziaria e anche, perché no?, demografica, seguendo logiche che però, ripeto, non convenivano al bullo di Mosca. Del resto se la Russia non cresce economicamente, pur avendo un potenziale enorme, è ben difficile che cresca demograficamente, seguendo essa in questo quanto già succede nel resto del continente europeo: anche in Italia, si sa, la mancata crescita dell’economia, e la sua incertezza, non aiuta lo sviluppo demografico. Ed insomma, l’idea che Putin stia solo cercando di difendere il proprio spazio d’influenza è sbagliata sul nascere proprio perché sul nascere è sbagliata quella per cui egli abbia sempre lavorato per difendere gli interessi del proprio Paese.
A Putin piacciono le dittature come quella di Lukashenko, o come quella di Cuba, dove vorrebbe collocare, avverte con tono minaccioso, dei missili nucleari per rispondere a quelli americani troppo vicini al suo territorio. Peccato che gli Usa di Biden i missili li mettano in Paesi democratici, al contrario della Russia: sarebbe interessante capire, infatti, se una Cuba diventata finalmente democratica avrebbe piacere di installare sul proprio territorio dei missili russi puntati contro gli Stati Uniti. In ogni caso la Russia sa bene di non poter installare missili nucleari sull’isola caraibica se non vuole ripetere il celebre scontro tra Kruscev e Kennedy. E sa anche che la Nato possiede già delle armi nucleari su suolo europeo in quanto è un’alleanza dove alcuni membri del Vecchio Continente sono potenze atomiche che non devono chiedere né a Washington né tanto meno a Mosca dove mettere i propri missili. Il fatto che ve ne siano anche molti americani in aggiunta è solo per riequilibrare il rapporto con quelli russi. Che poi quest’ultimi non vogliano l’Ucraina nella Nato per evitare il rischio di un attacco nucleare da vicino ci riporta al discorso per cui nessuno ha interesse a bombardare Mosca, né da vicino né da lontano, e non si capisce perché se la Russia può bombardare l’Ucraina da vicino non possa valere il principio inverso, anche considerato che la prima non è più da tempo un democrazia reale mentre la seconda sì.
Se un Paese entra nella Nato ha lo stesso diritto di avere i missili nucleari degli Stati Uniti. Ed è questo, immagino, uno dei motivi per cui nessuno era entusiasta di una richiesta di adesione di Kiev alla Nato, che infatti nessuno ha ancora accettato né in Europa né in America, per evitare risposte inconsulte da parte di Mosca. Quelle che infatti vediamo arrivare in questi giorni in una sorta, questa sì, di isteria collettiva, isteria per me più recitata che reale dato che, ripeto, Mosca sa che l’Occidente non ha interesse ad attaccarla. L’Occidente è relativamente ricco: perché dovrebbe buttare via tutto per uno scontro con Mosca? Mosca avrebbe meno da perdere, almeno da un punto di vista economico, anche perché non credo che la ricostituzione dell’Urss a cui mira Putin oggi cambierebbe molto la posizione della Russia nel mondo dove l’economia avanzata ha un valore ancora maggiore che nel passato. Putin sta insomma giocando una partita solo e soltanto per il proprio destino personale, destino che purtroppo ha legato in maniera indissolubile ad un nuovo imperialismo militare e politico, non economico. È chiaro quindi che l’imperatore è nudo: alla vecchia contrapposizione tra comunismo e capitalismo in Russia, grazie a Putin, si è sostituita quella tra dittatura e democrazia».
Wall & Street