La Russia di Orsini e l’Ucraina di Santoro
Pubblichiamo un’analisi dell’esperto di comunicazione Fabrizio Amadori su due personaggi mediaticamente sotto i riflettori per via dei loro commenti sul conflitto russo-ucraino.
«Il professor Alessandro Orsini dice cose da manuale, nulla che non si possa trovare nei testi insomma, ma lo esprime con trasporto, pathos. Non è una persona facilmente incasellabile, sembra aggressivo e presuntuoso, ma poi pare che sia una sorta di autodifesa, la sua. È come se celasse la parte più delicata, quella del francescano mancato, con quella più arrembante del sociologo accademico e militante. Chi lo guarda da casa non vede una persona sicura di sé, ma una che non accetta di essere attaccato per colpe che non sente di avere, salvo poi sorvolare sul fatto che le cose non stiano proprio così. Ma a chi guarda da casa se può sfuggire parte dello scontro dialettico con l’avversario di turno, non sfugge la postura di chi è sempre sulla difensiva, di chi non si fida.
È trasparente – o lo sembra – nelle sue antipatie o simpatie, ma il punto è proprio questo, che non si capisce quali siano quest’ultime, dato che non sorride mai. Forse quello che gli manca davvero è spianare il campo rispetto alle sue preferenze: lui condanna Putin e l’ha ribadito; peccato però che poi si concentri un po’ troppo contro il “fuoco amico”. Non è chiaro sulla base di cosa lui pensi che Putin, che è il più grosso e aggressivo, ad un certo punto si fermerebbe (in tempo): forse comportandosi come Napoleone III che, vedendo sul campo di battaglia troppi morti, decise di ritirarsi dalla guerra che stava combattendo con i piemontesi contro gli austriaci? Orsini ha tutto il diritto di occuparsi della guerra in Ucraina, dovrebbe solo riassettare il suo approccio, io credo. Direi che non è un buon comunicatore della sua posizione, che probabilmente è meno intransigente di come appare.
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«La recente interpretazione di Michele Santoro dei motivi della guerra è, a mio avviso, sostenibile con difficoltà. Affermare che in Afghanistan non si poteva sviluppare una democrazia significa sottovalutare la prepotenza di un gruppo armato, quello dei talebani, ai danni di una popolazione che armata non è: come fa a sapere Santoro che la maggioranza degli afghani di oggi sosterrebbe i talebani senza la minaccia della morte?
Il paragone Ucraina–Cuba, poi, è fuorviante. Dice Santoro che gli Usa ai tempi di Kennedy non erano disposti a tollerare i missili alle porte del loro paese ed erano pronti alla guerra nucleare con l’Urss di Kruscev per non farli collocare sull’isola caraibica. Manca un passaggio, ossia che Cuba era ed è una dittatura. Dubito che una Cuba democratica avrebbe accettato, ed accetterebbe, di puntare dei missili nucleari contro Washington. L’Ucraina invece è una democrazia ed è questo il punto focale di ogni altra considerazione, come sottolineerò a breve.
Ulteriore considerazione. Secondo Santoro è dubbio che la democrazia sia fatta per i russi (o per i cubani, gli afgani, etc).
Non sono d’accordo perché parto da una semplice considerazione. Cosa ha detto Putin (e la sua propaganda) degli ucraini? Che sono fratelli dei russi, che russi e ucraini sono praticamente, da sempre, lo stesso popolo. Ovviamente invaderli non è stato il modo migliore per mostrare il suo affetto, io credo, ma si vede che ognuno si comporta come sa. Detto questo, però, e tornando a seguire il ragionamento di Santoro, gli ucraini dovrebbero essere allergici alla democrazia esattamente come i russi, se Putin avesse ragione a considerarli fratelli. Peccato che non lo siano, allergici, e che anzi vogliano aumentare la democrazia, ne vogliano sempre di più anche per sfuggire a lui, a Putin, che nel frattempo ha declassato il suo paese da sistema semipresidenziale federale ad una dittatura de facto (potrà ricandidarsi sino al 2036). Ed è stato proprio tale fenomeno a far spaventare gli ucraini. Prima Kiev si fidava di Mosca, della Mosca del democratico Eltsin voglio dire, al punto da cedere alla Russia un terzo (5000) delle testate nucleari ex sovietiche poste sul proprio territorio a patto però di non essere mai attaccata (trattato del 1994). Poi, via via che la situazione degenerava, con i famosi colpi di mano (Crimea e Donbass) che erano solo e soltanto la punta dell’iceberg di un quadro russo innanzitutto interno sempre più sinistro e osceno (quadro che dovrebbe essere, quello sì, la chiave di interpretazione dei reali obiettivi di Putin), via via che la situazione degenerava, dicevo, gli ucraini si sono spaventati (altro che paura di Putin per la Nato!), e hanno chiesto di entrare nella Ue e poi anche nella Nato.
Questo per via di una visione ravvicinata ma anche distaccata al punto giusto da una grande dittatura in fìeri come era la Russia di Putin, soprattutto nel secondo decennio del presente secolo: una Russia che, vista da vicino come potevano fare gli ucraini, mostrava tutta la propria intolleranza e pericolosità (è facile infatti recitare la parte dei filo putiniani a Roma o a Parigi).
Ed insomma, la richiesta di adesione alla Nato dell’Ucraina era dovuta alla paura per la Russia-Frankenstein di Putin, non al desiderio di risultare pericolosi per la Russia. Mi sembra ovvio. E’ sempre stata l’Ucraina, insomma, a nutrire i maggiori timori per la propria incolumità, non certo Mosca; la Russia sa, ha sempre saputo benissimo che la Nato non ha mai avuto nessun serio interesse ad attaccarla.
Il clima da guerra fredda sviluppato da Putin, pur essendo venuti meno i presupposti ideologici (comunismo vs capitalismo), gli serve da tempo come instrumentum regni, è una ideologia utile al mantenimento del potere e alla lotta contro il dissenso, esattamente come la religione ortodossa che lui sostiene. La Nato, insomma, è sempre stata usata come spauracchio da Putin, ma non sarebbe mai dovuto diventarlo dopo il crollo del Muro di Berlino: possibile che commentatori come Santoro non lo capiscano?
Putin è un uomo cinico, spietato e risoluto a mantenere il comando. Secondo alcuni analisti il conflitto con l’Ucraina gli serviva soprattutto per rafforzare la sua posizione personale (e ribadisco “personale”), che si stava indebolendo. Se questo è vero, l’andamento della guerra, poco brillante, potrebbe risultargli fatale. Ecco perché gli americani sostengono che Putin non si può fermare, perché deve vincere a tutti i costi. Ma come può riuscirci, giunti a questo punto?
Infatti, egli pensava di concludere il conflitto in pochi giorni, ed è stato smentito. Pensava quindi a delle blande sanzioni occidentali conseguenza di tale roseo quadro iniziale, ed è stato smentito doppiamente. Anche vincesse sul campo occorrerà vedere cosa succederà sul piano economico, se cioè la Russia potrà tollerare sanzioni prolungate ed un eventuale default. E cosa accadrà se questo non sarà possibile, come pare inevitabile a molti? Sono presenti troppi punti interrogativi nell’attuale situazione, ed il più grande riguarda il pensiero e le reazioni di Putin, la sua capacità di mantenere la calma, nonché la sua effettiva forza al Cremlino».
Fabrizio Amadori