Con il green 5,6 milioni di posti a rischio
«La sostenibilità per le imprese non è più una scelta, ma una strada obbligata. Senza una reale transizione ecologica, accompagnata dalla semplificazione burocratica, da tempi sostenibili e dalle giuste misure fiscali, sono a rischio nel nostro paese 1,6 milioni di imprese che danno lavoro a 5,6 milioni di occupati». Lo dice Maurizio Gardini, presidente Confcooperative commentando il focus Censis Confcooperative “Sostenibilità, investire oggi per crescere domani” presentato nel corso della Seconda Edizione della Giornata della Sostenibilità organizzata da Confcooperative.
«Le nostre cooperative nel solo 2021 – dice Gardini – hanno investito 1,2 miliardi di euro in sostenibilità (fonte Centro Studi Confcooperative). Le cooperative sul green sono pronte a investire di più, il PNRR può rappresentare ancora la benzina verde della transizione, ma occorrono misure di sostegno e soprattutto meno burocrazia per realizzare impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile in tempi più brevi (fonte Bilancio Sostenibilità Confcooperative)».
Ecco le imprese che hanno accettato e vinto la sfida della transizione ecologica: la quota di imprese totalmente green (attività di smaltimento e gestione rifiuti, distribuzione di elettricità e gas), riguarda un numero ancora ridotto: infatti, soltanto 16.354 imprese, che danno lavoro a 267.000 occupati, sono già in linea con i requisiti di un sistema ad emissioni zero previsti dagli standard UE.
Sono oltre 932.000 le imprese che, danno lavoro a poco meno di 2 milioni di lavoratori pari all’11,6% dell’occupazione totale che rischiano di incorrere in considerevoli perdite finanziarie a seguito dei necessari investimenti per adattarsi alle strategie di un’economia a zero emissioni e sostenibile dal punto di vista ambientale. Rappresentano il 17,6% del totale. Il “rischio” è da considerarsi medio per quelle 600.000 imprese che danno lavoro a 3,7 milioni di lavoratori di questi oltre 1,5 milioni nelle pmi. Imprese che appartengono al comparto manifatturiero, come ad esempio, il sistema moda, il sistema casa, la meccanica. In questo caso l’adeguamento dei processi produttivi per ridurre l’impatto ambientale delle attività obbliga comunque a investimenti rilevanti. Un fenomeno che riguarda oltre l’11% delle imprese italiane.
Tuttavia, più di 3,7 milioni di aziende su oltre 5 milioni di quelle censite (il 70,9% sul totale delle imprese attive presenti nel Registro delle imprese) vengono definite a rischio trascurabile: per queste imprese, infatti, gli investimenti per adeguare o riconvertire la produzione in un sistema economico a zero emissioni nette e sostenibile dal punto di vista ambientale non inciderebbero sui costi, l’occupazione e l’accesso ai mercati finanziari. Rientrano in questo segmento le strutture attive nei servizi alle imprese e alle famiglie e nel comparto Costruzioni.
Le PMI che necessitano di elevati investimenti per riconvertire gli impianti produttivi e renderli sostenibili, pena l’uscita dal mercato, sono il 17,6% sul totale delle PMI. In termini di appartenenza di settore, le imprese ad alto grado di rischio sono quelle impegnate in attività di estrazione, lavorazione e commercializzazione di combustibili fossili, nella produzione di energia elettrica da fonti non rinnovabili e, in genere, in attività “energivore” come la siderurgia, ma anche parte delle filiera agricole come l’allevamento.
Un ulteriore approfondimento, realizzato da Cerved su 683 mila società di capitali e sui relativi bilanci, segnala che il “rischio transizione” di grado elevato riguarda 57 mila imprese (l’8,4% sul totale) che impiegano un 1.253.000 addetti (il 12,6% sul totale addetti) e sono esposte per debiti finanziari per circa 285 miliardi di euro (il 31% sul totale dei debiti finanziari, pari a 924 miliardi di euro).
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