Leadership femminile, esiste davvero?
Esce oggi in libreria «Leadership femminile. esiste davvero?» (Franco Angeli, 174 pp., 23 euro), un volume di Chiara Galgani e Valeria Santoro (coniuge dell’estensore del post; ndr) che approfondisce il rapporto tra mondo femminile e managerialità seguendo un doppio binario. Da una parte, infatti, l’analisi si sviluppa attraverso le conversazioni con dieci affermate manager e imprenditrici italiane. Dall’altro lato, le autrici cercano di definire i tratti distintivi della leadership al femminile partendo dai dati esperienziali emersi nelle interviste e giungendo a una sintesi strategica dello sviluppo professionale della donna. In questo modo, Galgani e Santoro restituiscono un affresco nitido e puntuale della managerialità di successo e della sua trasformazione nel corso degli ultimi 50 anni.
Resta, tuttavia, una domanda di fondo: ha ancora senso parlare di leadership femminile? O in un mondo mutevole e in continua evoluzione la rigida classificazione rischia di essere un banale stereotipo nello stereotipo? Il sottotitolo contiene un chiaro riferimento al glass ceiling, il «soffitto di vetro» che nelle analisi sociologiche contemporanee le donne devono infrangere per far emergere la propria capacità di leadership. Partendo dalla prefazione di Lella Golfo, a cui si deve l’ideazione e la presentazione della legge sulle quote rosa nelle società quotate approvata nel 2011, il libro prosegue con un resoconto delle autrici basato su dati recenti relativo alla presenza femminile nelle aziende, in Italia e nel mondo.
Al centro del volume le conversazioni delle due autrici con dieci donne protagoniste della storia industriale del Paese: Pina Amarelli, Presidente di Amarelli e di Banca Regionale di Sviluppo; Patrizia Grieco, presidente Banca Monte dei Paschi di Siena e Assonime; Albiera Antinori, Presidente Marchesi Antinori; Elena Goitini, Ceo Bnl Bnp Paribas e Responsabile Gruppo Bnp Paribas in Italia; Mara Panajia, Presidente e Ad di Henkel Italia; Silvia Candiani, Country General Manager Microsoft Italia; Cristina Scocchia, Ceo di Illycaffè; Antonella Mansi, Industriale, Presidente del Centro di Firenze della Moda Italiana, Presidente UniCredit Leasing; Daniela Fatarella, direttrice generale Save the Children Italia e Sara Riffeser Monti, Presidente SpeeD e Componente del Consiglio di Amministrazione Monrif Spa. Dieci conversazioni che seguono uno stesso schema narrativo e che restituiscono una visione delle protagoniste su tematiche sempre più rilevanti come formazione, percorso professionale, leadership, parità di genere nelle aziende. In chiusura, un consiglio delle intervistate alle giovani donne (ma anche agli uomini) che vogliono far carriera. La narrazione, che si dipana attraverso un percorso intergenerazionale, riesce a portare alla luce alcuni dati imprevisti: la maggior parte delle donne manager intervistate non ha rinunciato alla propria genitorialità e al proprio ruolo tradizionale all’interno della famiglia (ovviamente con una maggiore compartecipazione dei mariti nella gestione domestica), ma si sono rimboccate le maniche per conciliare entrambe le esigenze senza rinunciare alla propria femminilità.
D’altronde, uno degli intenti dichiarati del volume è proprio il superamento degli stereotipi. Sia quelli negativi che inquadrano la donna esclusivamente rinchiusa nel ruolo primario di caretaker sia quelli “positivi” che riducono la leadership femminile a una riproposizione in rosa delle qualità dirigenziali maschili. Ne emerge un quadro chiaro. Il leader è prima che uomo o donna, una persona con le sue peculiarità. Competenza, impegno, sacrificio e determinazione sono requisiti imprescindibili che oltrepassano i confini del gender, a cui è necessario ispirarsi per qualsiasi affermazione professionale. Ma se è vero che la leadership non ha genere, è altrettanto innegabile che le donne, accanto a “requisiti universali”, possono contare su valori più tipici del mondo femminile: empatia, ascolto, capacità di creare team coesi. Prerogative esercitate in modo autorevole e non autoritario, in grado di includere le diversità e valorizzare le differenze..
L’analisi di Galgani e Santoro si incarica anche di una contestualizzazione storica della leadership femminile per seguirne l’evoluzione, a partire dagli anni ’80 fino ai giorni nostri con il progressivo aumento della presenza delle donne in ruoli di management. Il dibattito sulla teorizzazione delle caratteristiche peculiari della leadership si è sempre concentrato sulla necessità di bilanciare l’immagine del leader, a cui sono associate qualità maschili come decisionismo, risolutezza, carisma o intransigenza, con le caratteristiche proprie della femminilità. Una contraddizione e un doppio vincolo che condiziona la rappresentazione delle leader e la loro comunicazione. Il double bind, teorizzato dall’antropologo inglese Gregory Bateson, trova nello studio della leadership femminile una sua precisa applicazione: la comunicazione verbale e quella non verbale pongono il femminile in una situazione lose-lose. Secondo Kathleen Hall Jamieson, docente di comunicazione e direttrice dell’Annenberg Public Policy Center dell’Università della Pennsylvania, le aspiranti leader che cercano di adeguarsi alle caratteristiche della leadership maschile, mostrandosi risolute, rischiano di essere raffigurate e avvertite come troppo aggressive. Al contrario, coloro che evitano di conformarsi troppo a questo modello di leadership maschile cercando stili alternativi e più personali sono considerate deboli per ricoprire ruoli esecutivi di vertice.
Il volume accoglie la tesi secondo cui «le persone diventano leader interiorizzando un’identità di leadership e sviluppando un senso della finalità: interiorizzare la percezione di sé come leader è un processo iterativo». Insomma, lo specifico femminile è saper costruire una grammatica propria della leadership che va oltre le caratteristiche di genere ma, affinché questa si sviluppi, è necessario che alle donne siano garantite opportunità di dimostrare il conseguimento di queste attitudini. Se i percorsi formativi resteranno caratterizzati da un forte imprinting maschile, allora alle donne resteranno precluse molte possibilità di accesso alla leadership poiché le modalità comunicative del femminile potrebbero non essere recepite e/o apprezzate.
Gian Maria De Francesco