In questi giorni si discute molto di cellule staminali. Hanno ricevuto il Nobel per la medicina l’inglese John Gurdon (dell’University of Cambridge) e il giapponese Shinya Yamanaka (Kyoto University), autori di due ricerche di biologia cellulare realizzate a 40 anni l’una dall’altra.  Entrambe le scoperte riguardano le cellule staminali: ovvero, oggi si sa che cellule adulte possono essere riprogrammate per sviluppare qualsiasi tipo di tessuto.

Fino agli anni ’60 si pensava che la specializzazione delle cellule fosse unidirezionale, che cioè, una volta che si formano le cellule nervose o muscolari di un essere vivente non si potesse far tornare indietro l’orologio biologico e dunque trasformare le cellule specializzate  in cellule “pluripotenti”, capaci, cioè, di diventare qualsiasi tessuto (come succede allo stato embrionale).

Nel 1962, Gurdon, che oggi ha 79 anni, capì che il genoma delle cellule adulte specializzate contiene l’informazione genetica necessaria per evolvere in qualsiasi tipo di cellula (tutto in una cellula) e lo dimostrò clonando una rana (nel 1997 la clonazione della pecola Dolly rivelò che la tecnica funzionava anche con i mammiferi).

Quarantaquattro anni dopo, nel 2006, Yamanaka scoprì le proteine con le quali una cellula adulta può essere riportata a uno stato embrionale (la differenza è fatta dalle proteine…) e quindi diventare un’altra cellula adulta.

Eccoci arrivati a cellule uguali alle staminali embrionali, sì proprio quelle che non si possono utilizzare per le implicazioni etiche.

Questa scoperta apre la strada alla riprogrammazione cellulare, a nuovi studi sui tumori e sulle malattie rare. Forse si riuscirà a capire perché le cellule tumorali perdono la loro strada, la loro differenziazione.

Attenzione, però. Ha spiegato il genetista Giuseppe Novelli, dell’università di Roma Tor Vergata che “queste cellule ricreate non sono del tutto identiche alle staminali embrionali  perchè quando forziamo la cellula a ’spogliarsi’ per tornare staminale, non è sempre detto che la cosa riesca completamente, può sempre rimanere un ’calzino’ o un ’cappello’ attaccato al Dna”.

Insomma, le cose sono tutt’altro che semplici. Andiamo avanti. Come fa la medicina rigenerativa a trasformare le cellule normali in staminali pluripotenziali? (iPs, secondo terminologia anglosassone). Una strada è “l’attivazione indotta per radiazione” spiega Frank Pajonk associate professor of radiation oncology al Jonsson Center della Ucla, università di California. Ed è sempre con questa tecnica, le radiazioni, che Pajonk ha prodotto in laboratorio cellule staminali tumorali (le più aggressive).

Il lavoro di Pajonk è stato pubblicato in marzo (2012) su Stem Cells e mostra che la radioterapia usata per curare i tumori al seno in parte può uccidere le cellule tumorali e in parte trasformare le cellule tumorali superstiti in tumorali staminali (che sono molto più resistenti ai trattamenti delle normali cellule tumorali).

Sentite: i ricercatori del  Jonsson Comprehensive Cancer Center Department of Oncology della UCLA hanno irradiato normali cellule tumorali non-staminali e le hanno inserite nelle cavie. Attraverso un sistema di imaging hanno potuto assistere (direttamente) alla trasformazione delle cellule normali in staminali tumorali per reazione al trattamento con le radiazioni. Pajonk riferisce che la nuova produzione di cellule così ottenuta è incredibilmente simile a cellule staminali del tumore al seno, non irradiate. La squadra di ricercatori ha anche potuto calcolare che queste cellule tumorali staminali indotte hanno una capacità di produrre tumori che è di 30 volte superiore a quella delle normali cellule tumorali (del tumore al seno) non irradiate.

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