C’è il paracetamolo che rende meno empatici. Ci sono le statine per ridurre il colesterolo che trasformano persone serafiche in automobilisti aggressivi. Ci sono i rimedi contro il Parkinson che, aumentando la dopamina, allentano i freni inibitori e aprono la strada alle dipendenze. Ma l’elenco delle molecole chimiche capaci di modificare, a nostra insaputa, i nostri comportamenti – e i nostri pensieri e le nostre emozioni – è ben più lungo (comprende anche i prodotti per l’asma, gli antidepressivi e gli antiinfiammatori).

Lo ha pubblicato il sito della Bbc, cliccate qui. Il report è stato curato da Beatrice Golomb, ricercatrice dell’Università di San Diego, in California. La studiosa ha raccolto svariate segnalazioni negli ultimi anni da tutti gli Stati Uniti. Per la maggior parte delle persone questi cambiamenti sono impercettibili, in altre si sono rivelati drammatici. Ma un numero altrettanto esteso di consumatori di farmaci non riesce a riconoscere i propri cambiamenti nel comportamento, se pur evidenti, tantomeno a collegarli ai medicinali. Matrimoni rotti, carriere distrutte, violenze sul partner, fino ai suicidi. Cliccate qui.

Già, è difficile rendersi conto che una pastiglia che abbassa il colesterolo possa indurre depressione, tendenza al suicidio o aggressività e in taluni casi anche disturbi psichiatrici. Cliccate qui. Siamo stati abituati a pensare che questi effetti siano legati alle droghe psichedeliche. Invece, anche un farmaco che non si sospetterebbe mai potesse averne, può provocarli. Peccato che sulle confezioni non compaia alcun avvertimento…

Vi sono studi che mostrerebbero che bassi livelli di colesterolo sono associati a comportamenti violenti, perfino nei pesci e nei moscerini della frutta. Cliccate qui. Tuttavia, come spesso accade nel mare magnum della letteratura scientifica, vi è anche la ricerca che afferma il contrario e “assolve” le statine dal provocare ansia e depressione. Qui.

Antidolorifici e empatia.

Dominik Mischkowski, ricercatore dell’Università dell’Ohio, ha indagato gli effetti degli antidolorifici sulla personalità.

Il paracetamolo allevia il dolore riducendo l’attività della corteccia insulare, area che svolge un ruolo importante nelle nostre emozioni. Lo studioso spiega che le stesse aree del nostro cervello diventano attive sia quando sperimentiamo “empatia positiva” – piacere per conto di altre persone – che quando proviamo dolore.

Pare che il paracetamolo faccia sentire meglio dopo un rifiuto sociale. Cliccate qui.

L’empatia non è solo una caratteristica che ci rende più simpatici con gli amici o più sensibili se guardiamo un film. Secondo alcuni studiosi è responsabile della adattabilità della nostra specie, favorisce le nostre capacità di socializzazione fin da piccoli e ci permette relazioni affettuose più stabili. Cliccate qui.

Va tuttavia considerato che il paracetamolo non può cambiare la nostra personalità, perché gli effetti durano solo poche ore e pochi di noi lo prendono continuamente.

Mischkowski evidenzia che dovremmo essere informati sui modi in cui ci influenza, in modo da poter usare il nostro buon senso. “Proprio come dovremmo essere consapevoli di non metterci al volante sotto l’influenza dell’alcool, dovremmo evitare di assumere il paracetamolo se dobbiamo affrontare una situazione che richiede di essere emotivamente sensibile, ad esempio una conversazione seria con un partner o un collega”.

Lo studioso precisa: “Uno dei motivi per cui i farmaci possono avere un tale peso psicologico è che il corpo non è solo un contenitore di organi separati, sensibili a specifiche sostanze chimiche, ma è una rete, in cui sono collegati molti processi diversi”.

Iperattività e nevrosi.

I farmaci anti asma sono associati all’iperattività, qui, e gli antidepressivi pare riducano, oltre alla depressione, anche gli stati ansioso-nevrotici. Ma quest’ultima conseguenza è un’arma a doppio taglio. Avverte lo psichiatra Peter Kramer “che quando alcune persone assumono antidepressivi, ciò che può accadere è che inizino a non interessarsi delle cose a cui la gente tiene. Perciò i pazienti dovrebbero essere avvisati degli effetti sul comportamenti come li si avverte di una conseguenza fisica”.

Effetti della medicalizzazione di massa.

Negli  Stati Uniti si consumano 49.000 tonnellate di paracetamolo all’anno (equivalgono a 298 compresse a persona!) . In Gran Bretagna un over 65enne su dieci ingerisce in media otto farmaci a settimana. Cliccate qui. Con l’invecchiamento della popolazione mondiale il bisogno (spesso indotto) di farmaci è destinato ad aumentare.

Gli studiosi si stanno domandando se la medicalizzazione di massa abbia degli effetti anche sui cambiamenti della società. Cliccate qui.

L‘antropologia farmaceutica indaga proprio come “i farmaci influenzino il nostro modo di intendere la salute, la natura e l’identità”. Emerge una nuova percezione tra lo stato di salute e di malattia (ad esempio tendenza a trattare la pre-malattia o lo stato di rischio) e tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale.

Tutto ciò si ripercuote sulle nostre visioni del mondo, sui valori.

Vi sono nuovi limiti che stabiliscono ciò che è eticamente accettabile (si pensi ai trapianti, all’uso delle staminali embrionali, fetali o adulte, al fine vita e ai cambiamenti di sesso) . In altre parole, siccome è possibile allora deve andar bene per forza..

Non solo. Cambiano le nozioni di integrazione ed esclusione (si pensi alla negazione del diritto allo studio ai bambini non vaccinati).

L’autrice della ricerca considera il ruolo che i prodotti farmaceutici svolgono nel creare un’identità tecnico scientifica modellata sull’assunzione di farmaci come qualcosa da abbracciare o rifiutare (posizioni ideologiche).

E poi quella riflessione sui tentativi di estendere i limiti del corpo, pensando di averne il controllo. Ecco i prodotti che eliminano le mestruazioni e il sonno, ed ecco i novelli cantori pronti a esaltarne i vantaggi.

Già, prodotti e cantori: chissà se fabbricati con la stessa ricetta…

 

 

 

 

 

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