Condivido con voi i dati disponibili sull’infezione da Coronavirus e alcune riflessioni che, nelle ultime ore, dopo tanto ascoltare e leggere, hanno catturato la mia attenzione. Da un lato siamo bombardati dai bollettini angoscianti, i numeri dei contagiati aumentano ogni ora, dall’altro vi sono voci critiche su come vadano interpretati questi numeri.

Le morti accertate.

A oggi ci sono 5.476 morti di “presunta malattia Covid”. Cliccate qui per gli aggiornamenti in tempo reale. L’Istituto Superiore di Sanità parla di “presunta malattia” perchè sono ancora da valutare la gran parte delle cartelle cliniche.

Il 18 marzo, dopo aver esaminato 355 cartelle delle 2.003 pervenute, l’Istituto Superiore di Sanità, aveva dichiarato che solo 3 persone morte (di o con il coronavirus) non avevano altre patologie concomitanti. Cliccate qui. Gli altri 352 defunti presentavano in media 3 co-morbilità, può darsi perciò che la causa di morte sia stata un’altra malattia o sia successo che la polmonite interstiziale abbia aggravato quadri clinici già compromessi.

Cliccate qui per leggere il bollettino ISS del 20 marzo: solo l’1,2% dei deceduti non aveva altre patologie.

Questi dati sono fondamentali per capire da quale nemico stiamo cercando di proteggerci. Il fatto che sia “pericoloso” solo per gli anziani o per le persone malate non vuol certo dire che lo si debba sottovalutare. Ma c’è chi afferma che il virus sia potenzialmente virulento per tutti. Nelle righe che seguono troverete il parere di un epidemiologo americano, John Ioannidis (è anche statistico ed è uno dei ricercatori tra i più citati al mondo); leggerete i dati che Stefano Petti, docente di Epidemiologia alla Sapienza, ha divulgato ai suoi studenti e gentilmente condiviso con noi e ascolterete il medico Ernesto Burgio, ricercatore di biologia molecolare, Presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) e membro del consiglio scientifico di ECERI (European Cancer and Environment Research Institute) di Bruxelles che spiega molto bene perché questo virus a Rna è assai virulento e non è paragonabile a una comune influenza.

La mancanza di dati.

Un fiasco in divenire?” Inizia così l’articolo dell’epidemiologo John Ioannidis, che trovate qui. A tre mesi dalla comparsa dell’epidemia, l’autore lamenta per la maggior parte dei Paesi, “la mancanza di dati affidabili sulla prevalenza del virus in un campione casuale rappresentativo della popolazione generale”.

Scrive: “Man mano che la pandemia di coronavirus prende piede, stiamo prendendo decisioni senza dati affidabili“. E ancora: “Un tasso di letalità nella popolazione dello 0,05% è inferiore a quello dell’influenza stagionale. Se questo è il vero tasso, bloccare il mondo con conseguenze sociali e finanziarie potenzialmente enormi può essere totalmente irrazionale”.

I numeri.

“Soltanto alla fine dell’anno sarà possibile confrontare i dati della mortalità del 2020 con le annate precedente. E, guardando ai morti in più, si potrà comprendere il fenomeno – spiega Stefano Petti – L’andamento della mortalità italiana non è per nulla regolare, segue picchi periodici – mai chiariti peraltro – a distanza di circa 2-4 anni. Ad esempio nell’inverno del 2015, da gennaio a marzo, si verificarono 217.000 morti premature in Europa tra gli ultra65enni e soltanto 9.000 distribuite nelle altre fasce di età, solo parzialmente attribuite all’influenza. L’Italia, quell’anno, pagò il prezzo più alto: 45.000 decessi in soli tre mesi (Michelozzi et al, 2016). Cliccate qui.

Non è finita. Nell’inverno 2017 emerse un altro picco. In una sola settimana, l’ultima di febbraio, ci furono 55.000 decessi prematuri in Europa tra gli ultra65enni, le altre classi di età neanche sfiorate. Cliccate qui”.

La situazione oggi.

“Nei mesi scorsi l’andamento della mortalità negli over 65 è stato più basso dell’atteso. Trovate qui i dati. Nell’ultima settimana del 2019 e nella prima del 2020 i decessi sono risultati addirittura al di sotto dell’intervallo di confidenza (la forbice che stima le morti attese).

Sia la distanza dai picchi del 2015 e del 2017, sia l’andamento delle ultime settimane facevano prevedere un eccesso di morti  nelle settimane successive. Che si è verificato nella settimana 1-7 marzo. A queste settimana di picco si aggiungeranno anche le successive, si avrà un eccesso di mortalità che compenserà un difetto del periodo precedente”.

La situazione in Lombardia.

Continua Petti: “Ho calcolato le morti in eccesso in Italia e in Lombardia per il 2019, secondo il trend dal 2002 al 2018: le morti attese in Italia nel 2019 erano 642.000 ma se ne sono verificate 647.000, quindi 5.000 in più dell’atteso ma comunque entro l’intervallo di confidenza (627.000-656.000). Ho fatto lo stesso calcolo per la Lombardia ed è emerso che le morti attese erano 98.500 ma se ne sono verificate quasi 102.000, quindi quasi 3.500 in più dell’atteso e oltre l’intervallo di confidenza (96.000-101.000). È quindi una differenza totalmente inaspettata che ci dice che nel 2019 il 70% delle morti in eccesso in Italia si sono verificate nella sola Lombardia.

La Lombardia ha sempre avuto un numero di decessi pari al 15% del numero totale in Italia ma questa percentuale sta rapidamente aumentando dal 2014 ad oggi e questo si riflette nell’enorme numero di decessi per cause multiple che si sta verificando in questa regione”.

È virulento, lo sappiamo dal giorno del sequenziamento”.

Vi invito ad ascoltare l’intervista che il ricercatore Ernesto Burgio ha rilasciato qui. (Dura 1h 43m). Burgio afferma che “da quando il virus è stato sequenziato sono note ai ricercatori alcune caratteristiche dei virus pandemici (ad esempio se la carica infettiva è alta, si scatena nel corpo una tempesta di molecole infiammatorie, responsabile dell’aggravamento dell’infezione). E che potrebbe rivelarsi pericoloso per tutti, non solo per gli anziani o i più cagionevoli”. Suggerisce di “immaginare lo scenario peggiore per non farsi trovare impreparati in autunno”. Propone di creare “corridoi sanitari” come è stato fatto a Wuhan: “Proteggere medici e infermieri; smistare i positivi e isolarli dai familiari; estendere il monitoraggio ai contatti; creare reparti intermedi per chi ha bisogno di ossigeno ma non di incubazione”. Burgio ricorda poi che “il rischio maggiore non è all’aperto ma nei luoghi chiusi con poco ricambio d’aria. Occorre ridurre la trasmissione dove sta avvenendo, soprattutto negli ospedali”.

Infine, condivido un appello di alcuni concittadini bresciani.

I posti letto delle cliniche private.

Quante strutture private di ricovero e cura in Lombardia potrebbero prestare i propri posti letto agli ospedali bergamaschi e bresciani? Qui l’elenco.

A Brescia stanno dimettendo dall’ospedale pubblico pazienti anziani malati di Covid, con febbre alta e tosse, “perchè respirano da soli”, visto che non ci sono posti per tutti. I familiari di questi malati avrebbero trovato accoglienza in cliniche private a pagamento.

In questa grave situazione di emergenza tutta la società è chiamata a collaborare, a rinunciare a qualcosa, dal lavoro alle libertà individuali. Stanno arrivando 8mila sanitari a rinforzo, presto saranno disponibili le agognate mascherine, alcuni alberghi mettono a disposizione i propri posti letto. E come mai la Regione Lombardia, che pure negli anni ha incentivato l’apertura di numerose cliniche private, non ha ancora chiesto di poter disporre di quei posti letto?

 

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