Politica estera, questa sconosciuta.
Maledetto il giorno in cui si incominciò a parlare di ‘partiti di programma’. Quella data dovrebbe essere marchiata a fuoco sui calendari italiani perché fissa il punto di partenza dello spaesamento politico e del dilettantismo elevato a sistema. Qualche secolo abbarbicati alle ideologie che furono anch’esse un male e poi, d’un tratto, pronti a saltare il fosso e a lanciarci nel campo avverso, nel fronte di coloro i quali credono che i programmi politici si costruiscano all’impronta con l’obbligo di guardare non oltre le 24ore. Nessun passato da preservare, nessuna strategia di medio-lungo periodo. Nulla di nulla. Dalla pericolosa ideologia impenetrabile e dogmatica al mellifluo ‘partito di programma’ dove tutto scorre e ciò che è valido oggi non lo sarà domani.
E così capita che in Siria succeda di tutto e di più. Entrino in gioco in quel piccolo quadrante geopolitico interessi energetici e militari, difesa dei valori democratici o di sovranità nazionale, lotta al terrorismo e aspirazioni al tirannicidio, influenze russe e bombardamenti americani, coinvolgimenti a vario titolo della Turchia e della Europa, alleanze nuove e antiche e mille altre cose. Un ginepraio di elementi che già ad una prima e superficiale lettura dovrebbe impegnare i singoli governi a scelte di fondo, a disamine articolate spurie da ogni sotterfugio dialettico e da ogni approssimazione. Magari non a valutazioni definitive e perentorie ma almeno a scelte ponderate che si discostino, da una parte, dalla ideologia occidentale di un mondo libero e democratico che ha compito primario quello di civilizzare i barbari, e dall’altra, dalla malsana idea di ‘’partiti (e governi) di programma’’ su scala planetaria; vale a dire da una politica che si fondi su estenuanti e continui tatticismi per cui un elemento condiviso oggi, si combatte domani.
E invece capita che a domanda precisa su questo tema il responsabile esteri del Movimento Cinque Stelle, candidato in pectore alla poltrona del Ministero degli Esteri in caso di vittoria di quel partito, si dica interessato a chiedere all’Onu una Commissione d’Inchiesta per capire cosa stia accadendo in quei territori. Nel giorno in cui Trump bombarda in Siria colui il quale viene indicato come futuro responsabile della Farnesina dimostri di non avere la benché minima idea su cosa stia accadendo e perciò intenda chiedere il sostegno ad una di quelle organizzazioni internazionali che è sempre stata sotto il mirino della propaganda politica dei Cinque Stelle. A ragione, aggiungerei, perché l’Onu è oramai un bradipo inutile e dannoso.
Pur tuttavia come si fa a chiedere aiuto all’Onu senza prima aver fatto una disamina che parta dai propri valori di riferimento e dalla storia del proprio Paese? O almeno come si fa a impostare una politica estera incamerando passivamente dati e decisioni procurate da una organizzazione che ha fatto il suo tempo e non sempre si è dimostrata capace del suo alto compito?
Evidentemente ciò accade perché siamo di fronte ad una forma di pilatesco terzismo che è però morbo comune a tutti i partiti i quali, avendo abbandonato i comodi lidi della ideologia, sono sfiancati e senza alcun punto di riferimento strategico, e quindi si appiattiscono sulla formula sciocca e inconsistente del ‘partito di programma’. Che in parole semplici significa “va dove ti porta il vento”.