Più di 120 tra attrici, registe, produttrici e donne che lavorano nello spettacolo, hanno sottoscritto un Manifesto (Dissenso comune) prendendo spunto dal caso Weinstein e dalle vicende successive, nel quale hanno allargato il campo delle denunce «non solo contro un singolo molestatore, ma contro l’intero sistema» e contro la «la sessualizzazione costante e permanente degli spazi lavorativi. La disuguaglianza di genere» che tocca «la segretaria, l’operaia, l’immigrata, la studentessa…».

Una campagna dai forti contenuti etici che sbatte contro una realtà, come sempre, ben più complessa ma rivela il fatto che si tenti di riprodurre vecchi stilemi con la sovrastante figura di un maschio con perenni istinti bestiali e che, sostenuto dalla sua posizione sociale, pronto a precipitare nella molestia insidiosa e nauseabonda verso l’altro sesso.

Tralascio il fatto, nemmeno secondario, che ad animare siffatti manifesti sia sempre la solita compagnia di giro (i famosi ‘firmaioli’ di cui parlava Montanelli). Sinistrorse molto radical, sempre su posizioni ‘avanzate’ (così le chiamano!) sui diritti civili, pronte a scendere in piazza contro il Drago di Arcore, il fascismo prossimo venturo, a favore dell’accoglienza indiscriminata degli immigrati e cose di questo genere, ma stranamente silenziose quando ad occupare i ministeri, in specie quello Cultura che finanzia i loro film che nessuno vede, o le poltrone di Primo cittadino delle grandi città dove si organizzano Festival del Cinema, sono quei mediocri degli ‘amici’ o degli ‘amici degli amici’.

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Ma queste sono, appunto, considerazioni di ordine secondario.

Ciò che non torna è l’intruppamento totalizzante e monolitico delle nostre artigiane dello spettacolo (…ma lo stesso discorso vale gli uomini). Quando si intestano una battaglia, diventa di per sé giusta e condivisa dalla totalità delle colleghe. In ogni altro campo umano, il meno che accade, è che i fronti si dividano in due, con una fazione pronta a sostenere delle tesi e l’altra ben salda nello smontarle. In questo caso, la posizione prona verso l’idea della maggioranza diventa invece usuale e non c’è mai nessun fronte consistente e visibile che si azzardi ad andar fuori dal coro.

I motivi sono noti e fin troppo umani. Il grande carrozzone progressista che governa culturalmente il mondo dello spettacolo da mezzo secolo non ammette deroghe e ‘nemici interni’, e quindi meglio far parte di questo gruppone sostenuto dai soliti giornali e da gran parte dei media, che staccarsi come anarchici guastatori. Se poi a far parte di quest’ultimi si palesano personaggi come Asia Argento, tale anarchia non può che connotarsi di una tale impalpabilità e disordine tematico, da marchiare questo misero e infinitesimale fronte avverso con la lettera scarlatta dello sconfitto e del reietto. Quando, infatti, contro simili ‘firmaioli’ si schierano personaggi simili la battaglia è persa in partenza.

C’è poi la tempistica che non torna. Ad alzare la voce sono anche ultracinquantenni che hanno passato la vita in quello che dovrebbe essere, a ben interpretare le loro preoccupate interviste e dichiarazioni, uno squallido e coatto meretricio fatto di soprusi e violenze sottaciute.

Epperò, domandine semplici semplici vengono spontanee: non si sono davvero mai accorte di nulla? E allora, se non se ne sono accorte, si tratterebbe di un fenomeno circoscritto con violenze limitate, pur sempre ignobili e squallide, ma dunque non ‘’di sistema’’? E se non era così, ma era generalizzato, e loro conoscevano questo fetido andazzo, perché sono state zitte? E ora perché non fanno i nomi? E, infine, visto che queste domande rimarranno inevase perché dovremmo credere alla bontà della loro battaglia?

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