C’è una linea tendenziale che, nonostante tutti i sillogismi, le previsioni, gli scenari di medio termine fatti dalla solita flottiglia di paludati commentatori televisivi, appare netta, marcata, chiara: l’Italia come oggi è, non piace ad una stragrande maggioranza di cittadini …per parafrasare una vecchia frase di Amendola, ripresa poi da Prezzolini, poco più di un secolo fa.

C’era da aspettarselo, e infatti così è stato.

Qui, però, non stiamo assistendo ad una di quelle ordinarie vittorie elettorali che, di volta in volta, possono toccare in sorte all’uno o all’altro schieramento; vale a dire, non si sta schiudendo innanzi ai nostri occhi quel ciclico incremento percentuale di un partito pronto a salire al Colle per ricevere l’incarico e, intanto, utile dal punto di vista propagandistico per esibire ai quattro venti la propria vittoria.

C’è qualcosa di più, e di più profondo, che svela un cambio di marcia generale, un distinto e forte anelito di cambiamento di svariati milioni di cittadini rispetto alle politiche di governo degli ultimi anni… e forse non solo degli ultimi cinque. Un voltare pagina sui temi dirimenti del diritto del lavoro, delle politiche industriali, della sicurezza, dell’immigrazione, e non per ultimo dei rapporti con l’Unione europea.

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I Cinque Stelle raccolgono su scala nazionale percentuali storiche e, soprattutto al Sud, monopolizzano ogni singolo collegio. A questo risultato va aggiunto quello della Lega, divenuta oramai partito nazionale, che supera Forza Italia e imprime una direzione diversa alle strategie del centrodestra. E se a tutto ciò aggiungiamo anche la quota di Fratelli d’Italia, di Potere al Popolo, di Casa Pound e di altre formazioni minori più o meno radicali, può venirne fuori il chiaro quadro di ‘rottura’. Non tanto da un punto di vista politico e di scenari di governo, perché molte di queste forze sono incompatibili e talune nemmeno entreranno in Parlamento, ma proprio di senso e direzione di marcia.

E questo è un primo ed iniziale punto di analisi rispetto all’azione di governo a guida PD che viene sonoramente bocciata e oramai senza alcuna via di fuga giustificatoria. A dimostrazione di quanto i cittadini non ne potessero più di un’azione che seguiva pedissequamente ogni dettame proveniente da Bruxelles, basta esaminare la parabola che ingloba un ampio mondo che parte da Grasso e dalla Boldrini e arriva fino a Renzi.

Quanto tutto questo sia ‘politicamente’ gestibile ce lo diranno i prossimi giorni. E molto sarò nelle mani di Mattarella. Ma sappiamo bene che, con questa legge elettorale simil-proporzionale, tutto si dovrà decidere in parlamento. E lì, molti saranno tentati di mischiare le carte. Tuttavia, a differenza del passato, dove non raramente transfughi dell’una o dell’altra parte cambiavano casacca per intrupparsi in una nascente maggioranza o per ‘favorirne’ il parto, in questo caso il segnale del Paese è talmente chiaro che qualunque riposizionamento rischierebbe di sobillare le piazze più di quanto non sia successo nelle ultime settimane.

Il voto, infatti, è stato di una chiarezza disarmante e soprattutto di una potenza evocativa che qualunque scelta contraria apparirebbe antidemocratica.

Sul fronte dell’applicabilità delle promesse elettorali si apre però un altro capitolo. Quasi sicuramente tante di esse sono inapplicabili sul piano di una seria azione di governo e soprattutto non cumulabili. Ma queste sono chiose che mettiamo da parte. Sappiamo bene che qualunque maggioranza dovrà limare taluni impegni presi in campagna elettorale.

Eppure, come si sottolineava all’inizio, il percorso di marcia è talmente marcato che si fa fatica ad immaginare ‘grandi coalizioni’ e pastrocchi vari, almeno nelle forme e nei contenuti già visti in passato, perché si sta aprendo una fase nuova. Un tempo in cui l’essere populisti e l’essere popolari per la prima volta coincide e quindi i toni accesi usati in questi mesi non appaiono più solo come uno stratagemma per cavalcare l’onda antisistema ma un vero e proprio megafono per dare voce ad una Italia che non ne può più …di tasse, di immigrati, di insicurezza, di contratti precari, di riforme delle pensioni ogni settimana, e così via.

Da qui a formare solide maggioranze di governo e a mettere in pratica un rivolgimento complessivo delle scelte di politica generale c’è di mezzo l’oceano della real-politik. Se però l’elettorato ha ancora un senso nelle democrazie moderne, non si potrà fare a meno di tenere assolutamente conto di queste indicazioni.

 

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